er un certo numero di differenti ragioni, Il Signore degli Anelli
contiene vari livelli di retorica e stile. Un punto è che doveva
essere stampato in parecchie copie a raggiungere un pubblico esteso
ed anonimo, non un circolo privato di amici cui Tolkien potesse
leggere il libro ad alta voce. Il punto di vista della critica per
cui "la disunifornità di tono, l'occasionale sciatteria delle metafore
e simili, (...) può essere dovuta in parte a tale incertezza
circa la risposta dell'uditorio." (Moseley, 43; mio corsivo)
è edificato su questo fatto. A causa di ciò, Tolkien ebbe a tralasciare
un certo ammontare di narrazione dallo stile elevato che usò in
opere precedenti; ed il livello del linguaggio si eleva con quello
dell'azione soltanto dalla conclusione del libro uno. Prima di essa,
specialmente quando l'azione stessa è ancora nella Contea, Il
Signore degli Anelli era congegnato come un diretto seguito
a Lo Hobbit, usando quegli espedienti stilistici atti a creare
un libro per bambini.
Più tardi, l'autore è ancora a confrontarsi con il compito di allineare
la parlata dei personaggi al loro sottofondo culturale, siccome
ha di che sviscerare "differenti mondi di parole" (Moseley, 44).
Invero, è chiaramente visibile che Tolkien non fece null'altro che
collegare espressione e scelta dei vocaboli al modo di pensare del
personaggio; con orchi e vagabondi usando discorsi semplici e crudi,
gli alti elfi parlando solennemente e con tono elegiaco, ed i Rohirrim
rassomigliando agli antichi Anglosassoni nei loro toni melodicamente
rimati, eroici.
Toni medi ed una certa letizia sono presenti negli hobbit, per quanto
il loro stile colloquiale e le parole ci sono familiari. Lo stile
elevato è conseguito dalle proposizioni di Tolkien che spesso si
ritrovano solenni, parallelistiche e polisindetiche, come la descrizione
dell'arrivo dei Rohirrim a Minas Tirith (comp. LOTR, 820)
oppure il passaggio in cui lo splendido Re Aragorn Elessar è ammirato
entrare nella città (comp. LOTR, 947).
Ad un tale stratagemma linguistico se ne accompagna un altro, il
"levare il registro linguistico e [l'uso di] deliberati arcaismi"
(Moseley, 51). Di questi ultimi Tolkien ne fornisce molti:
antiche forme per vocaboli comuni, scrivendo "hither", "thither"
e "whither" oppure "nigh", "naught" and "aught", ed attraverso arcaiche
espressioni non più, almeno non frequentemente, usate: il solenne
"tidings" per il modernistico "news", oppure la frase "to be loath
to" invece di "reluctant". Per quanto formali ed elegiache esse
possano essere, sono anche talvolta in contrasto con altre frasi,
ed a causa della complessità della narrazione, una unità di stile
e linguaggio non è mai conseguita; solamente un relazione isomorfica
fra espressione e personaggio la quale equipara l'impressione che
"Tolkien non sembra mai risolvere appieno i problema del livello
retorico" (Moseley, 42).
I poemi che Tolkien intercala per lo più si adattano alla rispettiva retorica e pure al sottofondo culturale del personaggio. Gli Hobbit hanno versi ridanciani, talvolta sconvenientemente umoristici, "filastrocche", come sono definite frequentemente da Shippey. I poemi Elfici esprimono la dignità e solennità della loro razza con il loro ritmo melodico, che è, in quei versi conservati solamente in Sindarin, anche il solo aspetto che il lettore realizza. Speciale attenzione è posta sulle rime e canti dei Rohirrim, e più di una volta essi rassomigliano ai loro modelli, l'antica poesia Anglosassone ed eminentemente l'Antica Norrena più che nella mera struttura. Questi sono poemi in rima melodica, con gli eroici ideali e la furia del loro popolo espressa nei loro canti, ma ve ne sono di paralleli alla Edda Poetica in un grado imitativo, per giunta: quindi il grido di battaglia di Théoden mentre carica rammenta chiaramente un rigo nel Voluspá. Ivi la fine del mondo è descritta con le parole "axe-age, sword-age / sundered are shields / wind-age, wolf-age / ere the world crumbles"[1] (Moynihan,330; citato da Lee M. Hollander, The Poetic Edda, 9); il grido di Théoden imita questo sia nel ritmo che nel sighificato, ed utilizza anche parole simili: "Saran scosse le lance, frantumati gli scudi, / e rosso il giorno prima dell'alba!"[2] (SdA, 1006). Similmente, la Lunga Lista degli Ent alle pagine 568 e 711 appare come un poema di sapienza tal quale al Grímnismál, dal momento che ambedue raccontano dei nomi di oggetti e creature viventi. Ma come mostra il primo esempio, tale parallelo è appena formale, con differente contesto, e non una allegoria, il che proverò più oltre. Con l'amore di Tolkien per la poesia, vi sono tuttora molti poemi i quali non apportano migliorie all'insieme del romanzo, ed è vero che i "poemi funzionano realmente soltanto quando saldamente collegati al loro contesto narrativo, ad innalzare quel momento." (Moseley, 51).
[1] "Era dell'ascia, era della spada / disgiunti
sono gli scudi / era del vento, era del lupo / prima che il mondo
si sgretoli" (N.d.T.)
[2] Nell'edizione inglese il secondo verso inizia con le parole sword-day
"giorno della spada" (N.d.T.)
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