a maggior parte, se non tutta, la filosofia ne Il Signore degli
Anelli è basata sulla visione cattolica della vita propria di
Tolkien. In questo, come in molti campi della sua narrativa, Tolkien
ebbe una peculiare opinione con senso e comprensione dell'arcaico,
dal quale ponderò, per quanto addietro fossero, i principi dei primissimi
fondatori della chiesa. Il compito affidato da Dio di creare nel
nome del Signore soggiace all'atteggiamento di Tolkien di essere
meramente un curatore, un sub-creatore. Il sottomondo che egli creò
è radicato nella nostra realtà, che a sua volta ha radici in Dio
stesso.
Religione e retroscena religiosi
Eziandio, lo spirito trascendentale può dirsi soggiacente a tutto
il libro, così come le sue "vedute [Cristiane] sono alla base di
tutta la narrativa di Tolkien" (Moseley, 11). Tale allineamento
della sua narrativa in un certo modo alla volta della metafisica
è dovuto alla credenza nell'aldilà migliore se comparato alla terra,
il quale è centrale nella Cristianità; come sant'Agostino, un padre
della chiesa che scrisse il De Civitate Dei - La Città
di Dio - indicò, "qui non v'è città eterna, qui non v'è che
perduri." (Moseley, 13). L'uomo fu insignito da Dio della
responsabilità di creare, e così è logico che nella creazione di
un fedele Cristiano, "si può leggere il volere di Dio" (Moseley,
20). In Tolkien stesso, l'uomo era un essere caduco, bisognoso
del perdono e della grazia del Signore, che ama il suo creato e
lo conduce a nuova gloria dopo una grande fine; dopo un grande conflitto
tra i fondamentalmente scissi Bene e Male. Tali forze, fa notare
Moseley, volgono l'universo in "un luogo di scontro" (Moseley,
60). La Terra di Mezzo certamente è un tal luogo, è un "campo
di battaglia del costante conflitto morale" (Moseley, 63),
e l'ideologica presa di posizione rende il conflitto più terribile
che non se fosse uno scontro materiale, poiché il male trae diletto
nei suoi atti per suo proprio gusto, non a causa dei benefici della
malignità. In tale cosmologia, il male ha sempre l'iniziativa, ed
un iniziale vantaggio. A causa di ciò, appare a tutta prima come
un disperato scontro dei piccoli contro l'incessante potere dell'oscurità,
ma alla fine, non da ultimo in seguito ad intervento celeste, le
potenze del bene sono sempre trionfanti.
Tale presa di posizione deriva da due differenti vedute del male
che Shippey spiega nel suo "Road to Middle-earth": quella di Boezio
e la Manichea. Nella visuale di Boezio, uno dei primi filosofi Cristiani,
il male è effettivamente nulla, meramente l'assenza del bene; pertanto
non può creare ed esso stesso non è creato. Siccome non può esistere
dove vi sia il bene, è alfine destinato a perdere. La visuale Manichea
è quella in cui il male è reale e pone un'immediata minaccia. Il
bilico fra bene e male causa un eterno scontro fra entrambe le forze
(comp. Shippey, 128f.). Per farla breve, per Boezio il male
è il difetto del bene, ove il male Manicheo esiste di per sé
come una controparte del bene. Tale contrasto si riflette nella
natura dell'Anello: è incerto se esso sia un essere senziente di
suo, il quale corrompe i suoi portatori per sua propria malignità,
oppure se sia solo un gingillo che amplifica pensieri ed intenzioni
già esistenti negli animi dei portatori. La questione del male in
tal modo è se esso sia "un'intima tentazione oppure un potere esterno"
(Shippey, 131). Tolkien mostra una combinazione di ambedue
le visuali nel suo romanzo, ma una tendenza verso quella di Boezio
può leggersi dalla sua atteggiamento nei confronti di una epitome
del male nella Terra di Mezzo, le ombre: "Le ombre sono assenza
di luce e così non esistono in sé stesse, ma sono visibili e palpabili
proprio come se lo fossero. Quella è esattamente la visuale di
Tolkien del male." (Shippey, 133; mio corsivo).
L'approccio che il bene deve avere nei confronti del male è, a parte
la coraggiosa lotta (la quale sarà argomentata più avanti), trattare
il male col bene. Rispondergli con pietà e misericordia, come Frodo
fece con Gollum, è la più alta mira nel conflitto da ambo i lati.
Ne Il Signore degli Anelli, è come Gesù disse: "Perdonate
e vi sarà perdonato.". In contrapposizione, si dà sovente il caso
in cui "le male azioni promuovono la causa del bene." (Jacobsen,
l. 528f.). Ne è esempio l'assalto di Boromir a Frodo, il quale
indusse Frodo a lasciare la Compagnia e trovare la propria via per
Mordor - il che egli fece con successo -, oppure il morso di Gollum
che costò a Frodo il suo dito anulare, distruggendo l'Anello per
sempre.
L'influenza che il male ha sul bene è principalmente quella della
tentazione, di distogliere il bene dalle sue rette intenzioni. Esso
operò con i Nani che andarono a Moria ed infine stanarono il demone
Balrog per la loro cupidigia, operò anche con Saruman che fu tentato
e corrotto dalla sua brama di potere e conoscenza. Nel suo caso,
il male, nella forma della corruzione, volse il più possente dei
giusti in un alleato del loro peggior nemico: corruptio optimi
pessima, come recita il proverbio Latino. Di sicuro, il tralignamento
è un soggetto importante de Il Signore degli Anelli.
La filosofia de Il Signore degli Anelli
La filosofia di vita che appare ne Il Signore degli Anelli si
sviluppa interamente attorno al conflitto centrale del bene contro
il male, e l'Anello, quale oggetto maligno, ma nelle mani del bene,
è, nella sua natura, sia uno specchio dell'intera costellazione,
che oggetto per il quale è effettivamente combattuta la guerra.
La responsabilità che ognuno ha di lottare contro il male è fra
le conseguenze che il conflitto avrà in ogni modo: sconfitta e cambiamento
sono inevitabili, ed ogni abitante della Terra di Mezzo è forzato
a scegliere la sua posizione e, se dalla parte dei giusti, difendere
le minacciate quotidianità; poiché tutti i rifugi verrebbero estinti
dall'Oscuro Signore se la resistenza mancasse di decisione: La Contea,
Lórien, Gran Burrone perirebbero tutti. Siccome Tolkien certamente
era più interessato al complesso di moralità e valori, è anche conseguente
che volgesse verso la "grande scala", essendo "interessato meno
allo specifico sociale che non al generico essere umano." (Moseley,
65). L'inevitabilità della scelta morale con cui gli uomini
sono confrontati fa il punto sul frangente dell'umanità nel romanzo.
Ciò è per certo pessimistico, ma non disperante; Tolkien non avrebbe
ammesso una tale attitudine da parte dei giusti nella Terra di Mezzo.
I personaggi nel romanzo non hanno la possibilità di realizzarlo,
ma l'esito sarà, che alfine il male darà prova d'esser troppo
perverso per essere vittorioso; ciò che i personaggi vedono
è soltanto la loro situazione nella quale la lotta contro il male
è inevitabile, e dove il loro discernimento ha ancora di che rimanere
ugualmente retto. Il fato d'una persona è segnato una volta che
si prenda partito.
Ancora, Tolkien prova le sue doti di scrittore nel raffigurare finanche
l'altro lato: quello di coloro che non fanno una scelta o compiono
quella errata sia pure con buone intenzioni, e dà anche esempi di
personaggi che scelgono di non scegliere: questi sono personaggi
virtualmente neutri. Leif Jacobsen lo spiega in dettaglio nel suo
saggio "The Undefinable Shadowland - A study of the complex question
of dualism in The Lord of the Rings". Boromir, Gollum e Tom
Bombadil sono tutte eccezioni allo schema bianco-nero per cui Tolkien
è spesso accusato. Boromir compie la scelta moralmente errata, ma
mai con alcuna intenzione malefica, solamente influenzato dall'Anello.
Tom Bombadil, d'altra parte, che sceglie di non prendere affatto
parte al conflitto, che, in tal campo, trascura il suo dovere morale,
è visto ancora più positivamente di Boromir da molti[9].
Gollum è differente da entrambi nel modo in cui non si cura d'alcun
altro che non se stesso, e la smania per l'Anello da cui è affetto.
Egli schiva il lato malefico di Sauron tanto quanto sarebbe riluttante
ad atti malevoli se non vi fosse incitato, sia dalla brama per l'Anello,
o sia per lo sprezzante trattamento di Sam.
L'Anello, a parte la sua influenza come un tentatore, è anche articolo
di un'importante valenza filosofica: "Il potere corrompe, ed il
potere assoluto corrompe assolutamente". (Shippey, 124).
Qui Tolkien varca la soglia dalla mitologia alla filosofia, ed il
pensiero espresso è effettivamente affatto moderno. Non solo la
cupidigia per il potere causa l'agire delle persone in un modo ingiusto
ed egoistico, ma anche il suo possesso influenza una persona negativamente,
pure volgendo il bene in male. Proprio come l'Anello espone il suo
portatore ad amplificare le sue emozioni, il potere rivela il reale
carattere di una persona una volta che sia in una posizione in cui
possa permettersi di ignorare precauzioni. Un altro, pure più moderno
pensiero è la dipendenza che l'Anello causa; e ciò è assai prossimo
al vero, i.e. la tossicodipendenza: essa controlla mente e corpo,
le azioni, e ancora può essere raffrenata, come lo possono le droghe.
Ecco perché Gollum, povero di forza d'animo e ignaro della nequizia
dell'Anello, gli soccombe interamente, e perché altri sono in grado
di sorreggerla: coloro fra i più nobili d'animo, come Gandalf e
Galadriel, e coloro fra i più puri di cuore, tali come Sam, provano
l'errore di quei critici di Tolkien che asserivano vi fosse qualcosa
come una irrealistica tentazione dell'Anello; essa afferra solamente
una forza d'animo solida abbastanza, che taluni non hanno e che
ancora non necessita d'essere perversa al postutto. Tale intera
percezione del potere come corruttore, che espone e dà assuefazione
è contrasto a molte ed antiche opinioni, in cui non era tanto una
preoccupazione l'abuso di potere quanto l'impotenza; ed in cui esso
era inteso come il traguardo dell'umano desiderio, ed era tristemente
noto come una virtù - come disse Henry Kissinger, "Il potere
è l'ultimo afrodisiaco".
Le forze trascendentali sono il fattore neutrale sia per bene che
per il male, ed il loro ruolo ne Il Signore degli Anelli è
principalmente di cooperare con le azioni terrestri e risponder
loro. Quantunque tali poteri del fato, sorte e fortuna siano incostanti,
ponendo un "basilare diniego della sicurezza per tutto Il Signore
degli Anelli" (Shippey, 138), sembrano ancora essere affette
in qualche modo dagli eventi nella guerra. Le decisioni che i personaggi
prendono sono quindi una miscelatura, una "continua interazione
di provvidenza e libero arbitrio" (Shippey, 137). Nel romanzo,
non v'è cosa che sia totale dipendenza dalla fortuna, e per lo più
non v'è possibilità di scelta totalmente libera. Coraggio, ottimismo
e tenacia sembrano dare un'impronta alle forze del fato: fortuna
fortes adiuvat, "La fortuna aiuta gli audaci", è l'antico proverbio
per tale circostanza. Non è una "fortuna pregiudiziale", che alcuni
critici credevano d'aver visto nel romanzo, ma che aiuta coloro
che si aiutano da sé. Tolkien mostrò una certa tenerezza
di cuore, per esempio nella sopravvivenza del pony di Sam Bill,
ma quando la sorte aiuta gli hobbit in Mordor, è per il loro spirito
di non rinunciare mai, non solo l'autore che dirige gli eventi in
un modo non realistico. Anche la provvidenza è un argomento centrale,
specialmente la provvidenza che condusse Aragorn alla corona. I
popoli nella Terra di Mezzo sono talvolta vincolati ad azioni dettate
molto prima dalle potenze del fato, non soltanto Elessar,
ma anche la caduta del Signore dei Nazgûl è profetizzata. Il finale,
un lieto fine, è pure predicato; ma tutto ciò non guasta né s'infiltra
nel corso degli eventi e sulla loro verosimiglianza, poiché le cose
potrebbero aver preso una via differente se non fosse per i gloriosi
atti delle libere genti, ed in quanto vi sono vittime: Lórien perisce,
insieme con gli Elfi nella Terra di Mezzo; i Nani sono in procinto
di diminuire; vi sono caduti in battaglia, come Théoden e Boromir,
e, non da meno per Tolkien, molte bellezze sono perdute assieme
a tutto ciò.
Valori e virtù della Terra di Mezzo
È da quanto si spiega qui sopra - religiosità e filosofia - che
i valori che appaiono ne Il Signore degli Anelli derivano.
Tali valori ed etica, che erano comuni al tempo di J. R. R. Tolkien
e dintorni si trovano almeno parzialmente nel romanzo. La concentrazione
sul WASP[10],
è tanto visibile quanto lo è l'organizzazione patriarcale della
vita. Nella Terra di Mezzo, certamente vi è dominanza maschile,
e i Paesi sono guidati da archetipi di re guerrieri. Essi, la loro
legittima regalità, ed il loro sviluppo in essa sono soggetti principi
dell'intero romanzo, con i caratteri di Aragorn, Théoden, Éomer,
Faramir, Denethor quali esempi di regnanti in stile medievale. I
paradigmi per il legittimo re che Tolkien dipinge, in parte con
l'eccezione di Denethor, possono essere presi dalle primissime fonti:
I Re d'Israele, Davide e Salomone, l'Imperatore Romano Augusto,
e, più in alto di tutti, Gesù Cristo, rex iudaeorum - Re
dei Giudei, come lo chiamarono i Romani - come ideale del giusto
e nobile sovrano e re, il rex iustus. L'eurocentrismo
del romanzo, come si potrebbe denominare, conduce a quelli che
possono esser visti come stereotipi razziali, con gli scuri e gretti
Sudroni; però tali paralleli non hanno una origine razzista in Tolkien,
sono solamente a spiegare la visione dei popoli del nord e dell'ovest,
e di come essi vedessero i forestieri - tenere a mente che la storia
è narrata dai vincitori.
L'amore fra i sessi non è la maggior caratteristica del romanzo.
Ciò è in parte dovuto ai ruoli dei sessi nel mondo della Terra di
Mezzo, ove le donne sono distaccate, se belle, e preservate dagli
affari di guerra e politica. Le donne Elfiche sono un po' un'eccezione,
come Galadriel, ma l'altra eccezione, Éowyn, che tenta di evadere
dal suo ruolo preconcetto, può trovare libertà solamente nell'arcaica
immagine della fanciulla in arme d'antico stile. I valori centrali
sono quindi cameratismo fra gli uomini, fratellanza, mutuo supporto
e lealtà. Si potrebbe azzardare, che questi siano i valori positivi
dell'etica del Terzo Reich, con la Kameradschaft come cuore,
un termine che include tutti quelli sopra, a provare le critiche
erronee a Tolkien che lo definiscono un romanziere WWII. L'amore
è un soggetto nei casi dell'amore per gli oggetti, i luoghi, la
famiglia e gli amici. Riguardo all'amore nel romanzo, esso ancora
una volta non è la disamina di un'esperienza che importi; quel "che
importa è la forma e la forza della storia, il mito" (Moseley,
64).
Tale vaghezza in certi campi accentua solamente l'importanza dell'ultimo
interesse di Tolkien: la moralità. La parte moralmente malata è
naturalmente quella del male, ma la sua manifestazione è rimarchevolmente
quella della modernità: Saruman ne è il primo esempio. La sua intrusione
nel mondo della Terra di Mezzo con politica, modernità e progresso,
presuppone la distruzione delle cose antiche ed amate, come il mulino
della Contea. Denethor è inoltre un esempio delle debolesse delle
culture civilizzate: il suo "esagerare nelle sottigliezze, egoismo,
abbandono della ´teoria del coraggio´" (Shippey, 118) (quest'ultima
spiegata in dettaglio in basso) sono tutti marchi della decadenza
moderna.
La controparte a ciò che Tolkien fornì fu tipicamente la "´Teoria
del coraggio´ Settentrionale [...] il cui elemento centrale è che
pure l'ultima sconfitta non è del tutto negativa." (Shippey,
109). Il modello di comportamento è dato qui dall'apocalisse
Nordica, il Ragnarokr, nella quale gli dei, gli Aesir
ed i Vanya, sono inevitabilmente sonfitti, ciascuno essendo
a conoscenza della propria morte - Odino essendo ucciso da Fenrir
il lupo, Thor morendo nell'abbattere il serpente Midgard -, ma non
rifiutandola. Gli dei erano al corrente dell'esito della battaglia
finale contro i giganti, ma il loro coraggio che non soccombette
al male, alla tentazione e all'oppugnazione fece una grande impressione
a Tolkien. Parzialmente, tale nordica virtù è dovuta alla Teutonica
convinzione sull'aldilà, dove i guerrieri uccisi sul campo di battaglia
sono risuscitati e congiunti alla legione di Odino nel Valhalla
per combattere nel giorno del Giudizio Universale: l'Einherjer.
Théoden, probabilmente il più nordico di tutti i caratteri ne Il
Signore degli Anelli, accenna esattamente a tale credenza nel
momento della sua agonia, dacché le sue ultime parole sono "Torno
dai miei padri"; egli parla della "loro compagnia[11]"
e di "un tramonto dorato" (SdA, 1012).
Ma, cristiano com'è, Tolkien dà anche la prospettiva di un nuovo,
seppur più mite, concetto di "ultima" prodezza: "risa, allegrezza,
rifiuto di indagare affatto sul futuro " (Shippey, 142).
Ciò è dimostrato dagli hobbit, specialmente Sam, con la sua abitudine
di non conoscere ciò che si trova dinanzi ma insistere, non curandosi
di ciò che segue. Come già spiega dopo l'incontro con gli elfi sulla
via per la Terra di Buck nella Contea, "So che percorreremo una
strada lunghissima verso l'oscurità; ma so che non posso tornare
indietro. [...] ma ho qualcosa da fare prima della fine, qualcosa
che si trova avanti a me, e non nella Contea. Devo arrivare fino
in fondo [...]." (SdA, 127). Sam e Frodo mantennero tale
atteggiamento nel loro percorso verso Monte Fato costantemente.
Gli hobbit, quantunque non incarnassero certamente l'ideale del
coraggio e della prodezza, sono ciononostante importanti per la
presentazione di Tolkien delle virtù raccomandate. Come spiega T.
A. Shippey, " ne Il Signore degli Anelli egli aveva appreso - mischiando
gli hobbit con gli eroi - a presentarle [le virtù che Shippey elenca
nella pagina precedente, ´stoicismo, disincoltura, pietà, fedeltà´]
in modo relativamente non provocatorio." (Shippey, 240).
A tale riguardo, egli scese a compromessi coi tempi moderni
ed assaggiò come tali virtù, per quanto in alto siano tenute nel
romanzo, siano distanti dal lettore medio al giorno d'oggi.
Il contrasto fra virtù le Pagane (coraggio) e Cristiane (pietà,
misericordia) è risolto da Tolkien mediando tra paganesimo e Cristianesimo;
narrando "una storia di virtuosi pagani nella cupezza dell'oscuro
passato, prima delle pressoché flebili premonizioni di luce e salvezza"
(Shippey, 180). Tolkien fornisce una prospettiva di salvezza
per gli eroici pagani nel romanzo, e quelli di altre pubblicazioni,
come Beowulf, e dà un modello di "elementare virtù che esiste
senza il supporto della religione" (Shippey, 184), siccome
naturalmente non vi era ancora alcuna religione Cristiana. Librandosi
fra paganesimo e Cristianesimo, fatalismo e salvezza, si può dire
che Tolkien traduca "la saggezza dell'antica epica [...] in una
sequenza interamente nuova di dubbi, decisioni, detti, rituali"
(Shippey, 113). Non è esattamente questo il minore degli
ambiti che rendono Il Signore degli Anelli un mito di dimensioni
cosmiche e filosofiche.
Mito contro filosofia
Definire sia il mito che la filosofia naturalmente addita le differenze tra i due. Ancora, entrambi possono trovarsi ne Il Signore degli Anelli, ed entrambi sembrano essere maneggiati con la medesima cura dall'autore, non preferendo uno in contrasto con l'altra, quantunque i livelli siano differenti. La resurrezione della scrittura del mito, alla quale Tolkien soggiacque, è certamente dovuta ad una fondamentale necessità che non è soddisfatta esaurientemente abbastanza nel nostro mondo scientifico, tecnico dove la magia dell'immaginazione e finzione è pressoché soppressa (comp. v. Müffling, 11). La filosofia, a sua volta, trova sempre più persone interessate, talvolta volgendo nella bassa filosofia popolare. Dove il mito generalmente s'appella alla religiosità ed alle emozioni, la filosofia s'appella all'intelletto, alla mente (comp. v. Müffling, 12). La vividezza e ricchezza d'immaginazione che il mito possiede in contrasto con la filosofy (comp. v. Müffling, 11), è perché esso divenne popolare con Il Signore degli Anelli; è la filosofia di vita del romanzo che lo lascia nella superba compagnia di altre grandi opere nella storia della letteratura.
[9] Che Bombadil sia tacciato d'ignavia
è affatto opinabile, non sapendosi abbastanza della sua natura.
[10] Sta per White Anglo-Saxon Person,
«persona Anglosassone bianca».
[11] Nella versione originale "their mighty
company".
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