Le Due Torri: tra libro e film di Nicola Boccalini |
Storia di un tutto (piccola premessa necessaria) 18 Gennaio 2002, un anno fa. Precisamente un venerdì. In molte sale cinematografiche italiane si proietta La Compagnia dell'Anello , primo capitolo della trilogia de Il Signore degli Anelli : il progetto, ambizioso ed imponente, è portato sullo schermo dal regista neozelandese Peter Jackson.La gigantesca impresa vede la luce dopo quattro anni di lavoro tra preparazione, produzione e riprese. C'è molta aspettativa e curiosità intorno al film, perché esso è ispirato al romanzo più letto del XX secolo: appunto Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien. Jackson era a conoscenza delle enormi difficoltà che si sarebbero frapposte nel trasporre in pellicola l'enorme epopea cosmogonica descritta dal filologo inglese. Era al corrente della passione che permeava gli accoliti del fluviale romanzo tolkeniano, e percepiva il pericolo di una furia distruttrice che avrebbe potuto investire la sua opera, qualora essa si fosse discostata dal manoscritto del Professore. Ciò nonostante è andato sempre avanti per la sua strada, in una guisa che forse non sarebbe spiaciuta neppure a Tolkien. 16
gennaio 2003, un giovedì. La scaramanzia dei distributori italiani
suggerisce di evitare il fatidico venerdì 17; così il
secondo film della trilogia, Le
Due Torri, esce nei cinema con un giorno d'anticipo
rispetto al normale cambio di programmazione. Con le stesse aspettative,
anzi forse maggiorate da una curiosità vegliante da un anno,
ma con alcune preoccupazioni in più. Nel bel mezzo di Terra di Mezzo Quirino Principe, curatore della prima edizione italiana de Il Signore degli Anelli , nell'introdurre Le Due Torri , pone una questione di tipo sostanziale: perché il récit tolkeniano è immenso? La risposta che egli fornisce è la seguente: è immenso poiché è universo. Un universo che non appartiene alla nostra realtà (intesa in senso storico - cronologico), ma che è esso stesso realtà. Per dirla sempre con Principe: << La Terra di Mezzo non è meno reale del planisfero terrestre, proprio perché essa è una totalità >>. Queste indicazioni sono necessarie per potersi affidare totalmente a Tolkien durante il viaggio nella Terra di Mezzo letteraria. Il filologo anglo-sudafricano non fa partire i propri passeggeri privi di comfort: anzi, proseguendo in questa tremenda metafora da tour operator, si potrebbe sostenere che con Tolkien si viaggia "all-inclusive". Mi spiego: Il Signore degli Anelli , rappresenta un'enorme singolarità nel panorama culturale novecentesco; tanto le avanguardie teorizzarono la velocità, le dimensioni sincopate e l'avversione ad una costruzione epica ed enfatica del linguaggio, tanto Tolkien restaura una dimensione più antica nella letteratura occidentale, quella del "roman", permeata d'elementi riconducibili con la tradizione medievale (da un lato) e con quella dei grandi autori ottocenteschi (Proust, Sthendal, Musil, Tolstoi). In Tolkien è bandita la "cultura dell'interiorità", come dice Principe, così come non hanno albergo riflussi d'ermetismo e tentazioni allegoriche, metaforiche e psicanalitiche. Il Professore in più fornisce una cosmogonia: una geografia, una mitologia, storie e culture di popoli, varie lingue (da egli inventate e strutturate) e una ragione per farsi realtà. Per questo si sarebbe tentati di credere che l'approccio con Tolkien sia molto meno impegnativo che affacciarsi a narratori come Kafka o Schnitzler. Perché se quello che è scritto è, ciò non richiede il contributo interpretativo e complementare del lettore, quindi quest'ultimo può mettersi comodo, godere del viaggio e non preoccuparsi di nulla. Eppure anche questo è vero in parte, poiché il viaggio in cui coinvolge Il Signore degli Anelli è lungo e irto di difficoltà. A parte l'intimidatoria mole dei volumi, che scoraggia i baldi lettori estivi, viene da pensare che non tutti possano godere del biglietto per la Terra di Mezzo: vuoi perché l'assorbimento richiede molto tempo (la grande risorsa scarsa della contemporaneità); vuoi perché nell'era delle playstation e della rete globale, niente ci pare da scoprire (nasciamo già svezzati) figuriamoci un mondo parallelo imbottito d'esseri insoliti. E queste già sono grandi discriminanti. Errore lo commette anche chi in Tolkien cerca personaggi come quelli di Perrault o atmosfere da fratelli Grimm, perché qui non di fiaba si tratta, ma di realtà. Una realtà talmente tangibile che Tolkien, dopo l'avvenuta pubblicazione dell'intera trilogia, ricevette centinaia di lettere da etologi, ingegneri, musicologi, fiorai, biologi, fabbri artigiani che volevano conoscere più particolareggiatamente lo sviluppo del proprio campo d'interesse nella Terra di Mezzo. Questo
è il prezzo che paga un demiurgo umano e tangibile: dover rispondere
di una creatura che ormai si muove da sola nella sfera semantica di
chiunque entri in contatto. Ma è anche la testimonianza di
una cosa viva e quindi reale, ancorché immaginaria. Le Due Torri - Il libro Il
secondo volume de Il Signore degli Anelli esce nel
1954, edito dalla George Allen & Unwin con il titolo de Le
Due Torri . Questo
frammento drammatico, rompe subito l'incantesimo del lettore: se La
Compagnia dell'Anello poteva essere definita come un lento
e progressivo addentrarsi nell'ombra, Le
Due Torri già dal capitolo iniziale fa percepire
quale sarà il tratto caratterizzante. La
fulminante apertura del Le Due
Torri mette il lettore dinnanzi ad una totale mancanza
di speranza. Qui
avviene il pieno sviluppo dei protagonisti: Tolkien in questa seconda
parte leva tutte le maschere ai suoi personaggi: accade ciò
che il semiologo Greimas nella sua teoria attanziale definisce "acquisizione
di competenza" . Ogni carattere è reso manifesto nell'inizio
della propria maturazione; pure non vi è quel completamento
che potrà avvenire solo con il giusto finale del terzo capitolo,
Il Ritorno del Re . In questa parte centrale de Il Signore degli Anelli è l'amicizia il valore compattante, ed essa sembra agire per sistema binario, per coppie, che come degli insiemi s'intersecano creando intense concatenazioni: Gimli e Legolas, Frodo e Sam, Eòmer e Aragorn, Aragorn e Gandalf, Gandalf, Théoden, e Aragorn ed Eòwin. Esistono anche due gruppi composti di tre elementi: il triangolo Merry - Pipino - Barbalbero, e quello composto da Frodo - Sam - Gollum. Quasi a conferma della solidità del sistema coppia, questi triangoli risultano meno stabili, in un alternarsi di situazioni favorevoli (la rivolta degli Ent, la quiete di Gollum) e sfavorevoli (la diffidenza di Barbalbero, i continui alterchi tra Sam e Gollum). All'interno de Le Due Torri non c'è più spazio per le compagnie, ma solo per i rapporti duplici, quelli stretti poiché adesso non ci si può fidare di nessuno. Tolkien, con la noncuranza del filologo (che sarebbe bestemmia per un romanziere convenzionale), inserisce in questo libro vari personaggi nuovi: alcuni con ruoli primari sia nel capitolo corrente che in quello successivo (Faramir, Eòwin, Eòmer, Barbalbero e gli Ent), altri che entrano come alito di vento (Erkenbrand dell'Ovestfalda) ed escono poco dopo senza lasciare traccia alcuna (almeno apparente). Molte di queste parti apparirebbero inconcludenti, se non fosse che Tolkien pensava già a delle abbondanti appendici al termine del terzo libro, per riannodare i fili sospesi. Tornando
ai personaggi nuovi (tra cui va incluso anche il ritrovato Gandalf,
che uscito vincente dalla lotta con il Demone ha ultimato il suo percorso
d'iniziazione, ottenendo dai Valar il colore Bianco per le sue vesti),
due in particolare diventano fondamentali: Gollum-Sméagol e
l'Ent Barbalbero. Sebbene
vi sia all'interno de Le Due
Torri una netta dicotomia tra bene e male, nessun
personaggio è totalmente compreso al bene o pienamente estraneo
al male. Il fatto è che una scelta s'impone, ma non è
così facile decidere: Theòden Re di Rohan, anche se
reso libero dalle nefaste influenze del consigliere Grìma Vermilinguo
(emissario di Saruman), è lacerato dai dubbi prima di abbracciare
la posizione di Gandalf ed imbarcarsi nell'eroica battaglia del Fosso
di Helm. Quindi
la scelta dolorosa è quella della consapevolezza: nulla potrà
ristabilire lo status quo ante , malgrado ciò è
necessario scegliere la parte giusta. Questa dolenza è rappresentata
in maniera perfetta dalla stirpe degli Elfi: i più antichi
tra loro percepiscono che la guerra dell'Anello segnerà, in
qualunque maniera essa finisca, la loro sorte. La fine della Terza
Era (epoca protostorica in cui è ambientato il romanzo) segna
anche il termine della loro permanenza nella Terra di Mezzo. Il tempo
degli Elfi è finito ed essi sono destinati a far ritorno con
le loro navi ad ovest nel reame di Valinor, per l'eternità.
Ciò nonostante scelgono di schierarsi accanto agli altri popoli
liberi per combattere l'ombra nera di Sauron. Il
testo de Le Due Torri
è diviso in due libri distinti ma diegeticamente paralleli:
il primo che tratta dell'avventura di Aragorn, Legolas, Gimli e Gandalf
a Rohan e di Merry e Pipino con gli Ent; il secondo libro che racconta
dell'avvicinamento di Frodo e Sam a Mordor. Come detto in precedenza, Tolkien non fa allegoria. Vi sono però richiami alle esperienze passate e al proprio sistema di valori: quindi il combattimento del Fosso di Helm ricorda le immense battaglie della Grande Guerra, che lo scrittore visse sulla Somme nel 1916/17. Principale è inoltre il concetto della natura e della sua conservazione: niente muoverebbe gli Ent verso una guerra, se non fosse per l'imprudenza di Saruman, che sradicando tutte le piante d'Isengard per costruire il proprio arsenale, scatena nei pastori d'alberi una violenza demolitrice che non sapevano di possedere. Tolkien attraverso questi passaggi cerca di ricordare al lettore l'importanza della comunione con la natura. Tutti gli esseri della Terra di Mezzo, fatti salvi gli Orchi, vivono in concordia con le creazioni di Yavannah (dea creatrice della natura); come ad esempio gli Elfi di Lothlòrien, che costruiscono le proprie abitazioni su giganteschi alberi chiamati Mallorn, vivendo in fusione con loro. La
separazione in due libri ben distinti, fa de Le
Due Torri l'anomalia narrativa della saga. Tolkien
tiene disgiunte (dal punto di vista dell'intreccio) le due vicende,
per accentuare quello che è il contenuto semantico dell'opera:
la sensazione che tutto sia irrimediabilmente compromesso. La vecchia
compagnia dispersa dirige se stessa in modo frammentario verso i due
simboli della malvagità incombente, le due torri: quella di
Orthanc ad Isengard dove risiede Saruman lo stregone e quella nera
di Barad-Dur dove vigila l'occhio fiammeggiante di Sauron. Le Due Torri - Il Film Peter
Jackson è ormai da due anni la croce e la delizia dei puristi
tolkeniani di tutto il globo. Il suo lavoro sta raccogliendo più
consensi che critiche, ma questo non toglie che alcune idee siano
oggetto di dibattito acceso tra gli amanti dell'opera di Tolkien.
Una
lode va poi alla WETA corps ., la società che si è
occupata degli effetti visivi: non solo ha creato tutti i personaggi
e le scene fisicamente, ma ha oltremodo dato vita anche alle varie
culture dei popoli abitanti la Terra di Mezzo. Tutto è servito
per creare verosimiglianza, aderenza con la cosmogonia tolkeniana,
che narra di razze millenarie come quella degli Elfi, portatrici di
una cultura altrettanto antica. Ogni struttura ed ogni singola arma
sono state fabbricate a mano, tornando per certi aspetti ad un sistema
old style di concepire il kolossal. Ma
veniamo nello specifico a Le
Due Torri. La
riduzione cinematografica procede poi con grande fedeltà (ma
anche con molti tagli) sino alla cacciata di Eòmer, nipote
di Re Théoden e capitano dei Rohirrim, da Rohan per volere
di Vermilinguo. Questa parte non esiste nel libro, ma diventa qui
fondamentale per il proseguimento del film. In questa parte di film, la sequenza che convince meno è l'approdo di Merry e Pipino a Fangorn. L'incontro con Barbalbero risulta, come direbbe lui, <<.un po' frettoloso!>> ; Inoltre manca totalmente quell'aspetto umoristico che scaturiva dalla conoscenza tra due specie ignote fra loro. Ma questa è una nota scelta di Jackson. Senza scomodare i grandi russi, la fluvialità del ciclo di Tolkien autorizzava piacevoli divagazioni descrittive, e questo permetteva la creazione di situazioni umoristiche e di personaggi stravaganti. E' uno dei sembianti che fanno la ricchezza de Il Signore degli Anelli , che nel film sono quasi totalmente assenti. Non
è una critica questa. E' evidente il dovere del regista di
sostenere un punto di vista o se preferiamo di fornire uno sguardo
d'insieme sul ciclo tolkeniano, favorendo l'enfasi epica e i valori
morali emersi dalla scrittura. Questo va certamente a scapito di una
dimensione comico-grottesca (nel primo film fu sacrificato il personaggio
di Tom Bombadil), ma in fondo non siamo alla presenza di una riduzione
cinematografica di una commedia o di una novella. L'enfatizzazione che caratterizza tutto il film, assume una dimensione ancor maggiore nel rapporto tra Aragorn e Arwen. La dama elfica nel libro non appare neppure, mentre qui è protagonista di uno scontro con suo padre Elrond che la convincerà ad imbarcarsi per i Rifugi oscuri destinati agli Elfi che lasciano la Terra di Mezzo. Aragorn sa della cosa, e quest'improvvisa complicazione nella loro storia d'amore non fa che accentuare una dimensione di tormento (anche nello spettatore), creando questa nuova situazione parallela. Emergono
in primo piano anche le figure di Théoden Re del Mark e di
sua nipote Eowin, "la bianca dama di Rohan". Théoden, liberato
dalla possessione di Saruman, da un Gandalf in versione esorcista,
muta sia la sua natura morale che quella fisica, ringiovanendo improvvisamente.
La scena, seppur molto aderente al testo, assume degli accenti eccessivi
con il Re che si contorce sul trono come una Linda Blair dei tempi
che furono. Anche la fredda Eowin accresce la sua parte in commedia,
diventando subito protagonista e antagonista di Arwen nel cuore del
tenebroso Aragorn. Una dimensione a parte la assume il personaggio di Gollum. La creatura, ricreata digitalmente su movimenti umani, è "l'anello" di congiunzione più forte tra libro e film. Egli esprime meravigliosamente sullo schermo la sua contorta essenza, evocando negli spettatori sentimenti contrastanti, ora d'odio e paura, ora di pietà e commiserazione. Gollum è dominato da una duplice natura e proprio questa sua complessità psicologica lo rende ingiudicabile: egli è in mezzo al guado, buono e malvagio allo stesso tempo, essenza del concetto tolkeniano di corruttibilità dell'animo umano. A
differenza de La Compagnia dell'Anello , il film
Le Due Torri
si scosta un po' dagli accenti linguistici usati da Tolkien: l'evoluzione
del ciclo de Il Signore degli Anelli , vuole il secondo
volume già vicino ai toni di romanzi medievali come il Beowulf
o Sir Gawain e il Cavaliere Verde, toni che si manifesteranno
in pieno dentro Il Ritorno del Re . Nella pellicola
invece è tutto ovviamente più colloquiale ed informale,
anche se molti dialoghi sono mantenuti identici. Il punto centrale de Le Due Torri resta in ogni modo la battaglia per il Fosso di Helm: Aragorn e gli altri sono arroccati insieme a Théoden e ai miseri resti della gente di Rohan, mentre fuori dalle mura un esercito di diecimila orchi Uruk-hai è pronta all'attacco. E' possibile ritrovare all'interno della magniloquente scena, l'influenza di molti: l'assedio di un male esterno e tangibile sembra mutuata da Hawks e Carpenter, le riprese mobili ed audaci ricordano da vicino il Kurosawa di Kagemusha ; l'adunata dell'esercito di Saruman richiama alla memoria le immagini di Leni Riefenstal e l'inquadratura, con carrello ad indietreggiare, sulle picche alzate degli orchi rievoca in qualche modo la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. La
battaglia esprime tutta la potenza del film e rappresenta il momento
più corale: agli assediati giunge l'inaspettato aiuto di una
compagnia d'arcieri elfici inviati da Elrond (anch'egli convinto,
nonostante tutto, che una speranza esista ancora). Ciononostante sulle
mura del Trombatorrione combattono sia vecchi, che bambini. Il buio
cala, insieme con una sensazione di morte mentre gli Uruk battono
incessantemente le picche sul terreno simulando il rombo di un tuono
senza fine. Mentre i tiratori sulle mura tendono gli archi, il macabro
rombo prosegue, finché una freccia inavvertitamente partita
ad un anziano combattente abbatte un orco. Cala un irreale silenzio,
ma prelude all'inizio del tremendo attacco. Il
montaggio (altro capolavoro nel capolavoro) interviene verso il termine
dello scontro per il fosso di Helm, alternando le sequenze di un altro
scontro che si sta consumando ad Isengard: gli Hobbit hanno convinto
Barbalbero e gli Ent a muovere guerra a Saruman, dopo aver mostrato
loro l'annientamento di una parte di foresta da parte dello stregone.
Fuori di se dalla rabbia Fangorn (Barbalbero) incita gli altri Ent
ad attaccare la torre di Orthanc con le pietre, distruggendo la diga
che contiene il fiume Isen, che riversa sulla piana tutto il suo furore,
spazzando ciò che incontra. Conclusioni La
prima cosa che salta agli occhi allo spettatore che ha letto il libro
di Tolkien, è l'estrema riduzione dello spazio diegetico del
racconto filmico: esso inizia ben dopo la morte di Boromir per finire
molto prima del viaggio di Gandalf presso Saruman, ormai in balia
della rabbia degli Ent, e del cammino di Frodo e Sam sulle scale di
Cirith Ungol verso la tana di Shelob. Per darvi un'idea della contrazione
vi porto dei numeri: la prima parte del libro Le
Due Torri , per intenderci quello delle grandi battaglie
(Fosso di Helm e Isengard) ha una lunghezza di 226 pagine, il film
racconta avvenimenti svoltisi in 148 di quelle pagine. La stessa cosa
accade per il secondo libro dedicato al pellegrinaggio di Frodo e
Sam. A
dire il vero tale ascesa non è ancora terminata. Nel romanzo
gravi avvenimenti malvagi devono ancora accadere, tra cui la conoscenza
dell'immonda Shelob. Tuttavia Jackson era obbligato a tenere alcune
di queste scene per il terzo capitolo, che altrimenti avrebbe rischiato
d'essere troppo didascalico. Necessariamente il capitolo conclusivo
della saga deve essere anche quello più magniloquente, perché
terminale di tutte le attese degli spettatori. Questo
non accade nel romanzo perché in un libro c'è sempre
molto di più. Inoltre Tolkien non si cura della nettezza nelle
conclusioni dei tre libri separati (non dimentichiamo che essi uscirono
tra il '53 e il '55 in volumi distinti), e noi oggi ignoriamo questo
problema avendo tutta la trilogia completa. In
questo mio saggio ho cercato di informare, chi n'avesse voglia, delle
differenze sostanziali che sussistono tra il linguaggio filmico e
quello letterario. Molte ne posso aver indagate, ma mai quante ne
ho trascurate. Puntualmente ultimato un paragrafo ricordavo di dover
aggiungere qualcosa, ma non sempre l'ho fatto, perché il rischio
nel descrivere una cosmogonia come quella tolkeniana, sia essa libro
o film, è quello di svilirne il valore. Riguardo
alle tematiche contenute nella trilogia, esse affascinano ancora perché
sempre attuali: l'amore per una natura che comprendiamo sempre meno,
la debolezza dell'uomo nei confronti del potere (qui rappresentato
da un oggetto tangibile come l'anello), ma anche il coraggio di chi
non sa di possederlo e la fratellanza oltre le differenze razziali.
Ciò che rimane da dire è che nel complesso Le Due Torri appare un film potente ed epico, e tortuoso sicuramente più del primo lungometraggio; tuttavia essendo parte di mezzo lascia un senso d'incompletezza, non fosse altro che per alcuni comprensibili tagli effettuati per la versione uscita nelle sale. Forse nell'autunno prossimo anche questo piccolo fastidio sarà alleviato, dalla versione Director's cut in DVD, o forse staremo già attendendo un nuovo ritorno: quello del Re, naturalmente.
Nicola Boccalini, 31 gennaio 2003 fonte Cinemavvenire (www.cinemavvenire.it)
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