el celebre saggio On Fairy-Stories, interrogandosi sulla
natura delle fiabe, Tolkien scriveva che “l’inventore
di fiabe si rivela un felice ‘subcreatore’, il quale
costruisce un Mondo Secondario in cui la mente del fruitore può
entrare. All’interno di tale mondo ciò che egli riferisce
è ‘vero’ nel senso che concorda con le leggi
che vi vigono.”
Ora l’idea dello scrittore come subcreatore e dell’opera
d’arte come mondo dotato di una propria realtà sembrano
inscrivere Tolkien in una tradizione di retaggio neoplatonico maturata
nel Rinascimento italiano e continuata nell’Inghilterra del
secolo XVI, la quale giudica lo scrittore, il poeta come simile
a Dio in quanto ‘creatore’, interpretando l’opera
d’arte come una realtà più vera della realtà
stessa perché più pura e più elevata.
Cristoforo Landino e Marsilio Ficino sono i precursori teorici del
parallelismo speculativo tra creazione divina e creazione letteraria,
parallelismo che avrà la sua massima espressione in Tasso
il quale nei Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico
asseriva che il poeta era da dirsi “divino” perché,
attraverso la creazione artistica, operava seguendo le stesse modalità
di Dio mentre il poema andava equiparato ad un “picciol mondo”
nel quale descrivere battaglie, assedi, duelli, eventi atmosferici,
patimenti fisici, incendi e così via.
Il neoplatonismo italiano si diffuse in Europa grazie alla traduzione
ficiniana del Corpus Hermeticum attribuito ad Ermete Trimegisto,
in specie del primo trattato, il Pimander, dove si raccontava
della creazione di Dio e del desiderio dell’uomo di creare
a sua volta. Tali concezioni vennero introdotte nell’Inghilterra
elisabettiana da John Dee, figura mediatrice tra le nuove tendenze
del Rinascimento e la filosofia inglese dell’epoca medievale,
nonché della breve ma feconda permanenza oltremanica di Giordano
Bruno, le cui idee di un universo infinito e di innumerevoli mondi
che si muovono di vita propria – come ha ampiamente dimostrato
Frances Yates nei suoi studi – ebbero vasta diffusione.
In breve, in Tolkien, le affinità con la tradizione del neoplatonismo
inglese emergono abbastanza chiaramente nelle pagine del saggio
Sulle fiabe dove lo scrittore è inteso come un “subcreatore”,
un demiurgo capace di attuare le meraviglie della propria immaginazione,
plasmando l’opera d’arte alla stregua di un ‘eterocosmo’
(Heterocosm), rimarcando in tal modo l’analogia tra
creazione artistica e creazione divina.
Il secondo punto riguarda la possibilità di interpretare
il viaggio di Frodo – e dunque l’asse centrale del SdA
– come un viaggio verso l’Aldilà.
Il viaggio verso l’Aldilà è una particolare
forma di storia di viaggio nella quale il protagonista supera gli
abituali confini del mondo conosciuto ed entra in una terra dove
regna il soprannaturale e che, a seconda delle diverse tradizioni
mitologiche e concezioni religiose, può essere oscura, desolata,
popolata da creature infide e mostruose oppure luminosa, ristoratrice
ed abitata da figure benevole e di bellissimo aspetto. Esempi del
primo tipo possono trovarsi nelle descrizioni oltremondane egizie
e mesopotamiche ma anche in quelle nordico-germaniche, nonché,
naturalmente, nelle descrizioni degli inferi della letteratura ebraico-cristiana
antica e medievale. Esempi del secondo si rintracciano nella mitologia
celtica oppure nelle descrizioni del Paradiso cristiano.
Il topos del viaggio nell’aldilà si ritrova nelle storie
mesopotamiche dell’eroe Gilgames¹ e della grande dea Inanna-Is¹tar;
nelle rappresentazioni egizie del tragitto di Râ il dio-sole;
nelle catabasi [dal greco Katábasis: “discesa
agli inferi”] greco-romane di Ercole, Orfeo, Ulisse, ecc.;
ma si ritrova pure nella letteratura apocalittico-giudaica dei secc.
II a.C.-III d.C. (l’Apocalissi di Pietro, l’Apocalissi
di Paolo); nei racconti degli eroi celtici Condla il bello,
Bran, Mael Duin o degli dei nordico-germanici Odino ed Hermóþr;
e, infine, nelle visioni medievali descritte da Gregorio Magno nei
suoi Dialoghi o dal Venerabile Beda nella Storia ecclesiastica
degli Angli.
Come tutti sappiamo l’itinerario di Frodo ha una meta: Monte
Fato a Mordor.
La caratterizzazione oltremondana di Mordor è inequivocabile,
emergendo sia dalla geografia che dall’onomastica. Mordor
(in inglese antico “assassinio, morte violenta, supplizio”),
nel Signore degli Anelli è chiamata anche Terra
Nera (Black Land) o Terra Innominata (Nameless Land).
È una regione sterile, impervia, ostile, nella quale si erge
un vulcano attivo (Mount Doom), delimitata da possenti
catene montuose: le Montagne d’Ombra (Mountains of Shadows)
e i Monti Cenere (Ashen Mountains), nella quale s’innalzano
fortezze inaccessibili (Barad-dûr, Minas Morgul) e vivono
esseri mostruosi e deformi (Sauron, i Nazgûl, gli Orchi).
Qualora si confrontino le descrizioni dell’Aldilà nelle
varie mitologie, da quelle classiche a quelle nordico-germaniche,
è possibile riscontrare la stessa serie di elementi: paesaggi
lugubri e desolati, atmosfera opprimente, assenza di luce, fortezze
minacciose, mostri e demoni, e così via. Ad es. in area mesopotamica
l’Aldilà, Ahar-la-tari “luogo senza
ritorno” è un territorio triste, silenzioso, sporco;
parimenti presso i nordico-germani Niflheimr “paese
dell’oscurità” è un luogo che si raggiunge
attraverso una grotta e dove sorge un edificio costruito con pelli
di serpenti e dal cui tetto cadono gocce di veleno mentre coloro
che vi sono destinati (spergiuri e assassini) sono straziati dal
drago Ni<eth>hoggr.
Anche da questi elementi, necessariamente scarni, si ricava, dunque,
che il viaggio di Frodo è un viaggio verso l’Altro
Mondo.
Il cammino per l’Aldilà può essere discontinuo
e tortuoso, suddividendosi in tappe successive ad ognuna delle quali
corrisponde una prova da superare. Scopo di tali prove è
vagliare le virtù del viaggiatore, dell’eroe e prepararlo
alla prova finale, quella più difficile dove sarà
in gioco non tanto e non solo la vita di questi ma anche e soprattutto
il destino del mondo.
Nel Signore degli Anelli si possono individuare otto tappe
principali:
1) l’attraversamento della Vecchia Foresta, da parte di Frodo
e degli altri tre Hobbit;
2) la discesa nella tomba a Tumulilande, effettuata sempre dai quattro
Hobbit;
3) la sosta nella dimora elfica d’Imladris;
4) il percorso sotterraneo a Moria, cui partecipano i nove componenti
la Compagnia dell’Anello;
5) la fermata ristoratrice nel reame incantato di Lothlórien;
6) il tragitto lungo i Sentieri dei Morti, portato a termine da
Aragorn, Legolas e Gimli;
7) il passaggio nella caverna di Cirith Ungol, compiuto da Frodo
e Sam;
8) infine, l’ingresso a Mordor, ad opera dei due Hobbit.
Ciò che però risalta è che ciascuna di tali
tappe si porrebbe già di per sé come esperienza oltremondana.
Difatti, la foresta, il tumulo, la grotta, e così via. sono
tutti luoghi assimilabili all’Altro Mondo.
Il passaggio nella Vecchia Foresta (Old Forest) ricorda
gli attraversamenti di selve e boschi descritti nei romanzi cavallereschi,
dove avvenivano incontri con creature sovrannaturali e si attuava
l’iniziazione del cavaliere ma ricorda anche le prove iniziatiche
cui erano sottoposti i neofiti nelle società così
dette ‘tradizionali’ o tribali, in quanto il soggiorno
nella foresta costituiva una metafora della morte e della resurrezione.
L’entrata nel tumulo dei Tumulilande è una catabasi
tipica delle saghe norrene così come il passaggio nel regno
dei Nani di Moria. Le soste nelle terre elfiche appartengono alla
tradizione celtica dell’andata nell’Altro Mondo: gli
echtrai. Le discese nelle grotte e nelle caverne, come
i Sentieri dei Morti e Cirith Ungol, si ritrovano universalmente
nei miti e nei riti d’iniziazione e sono paragonate agli inferi.
Inoltre, il libro termina con un altro viaggio oltremondano: la
navigazione di Frodo, Gandalf e gli Elfi alla volta di Valinor,
con un chiaro riferimento alle credenze relative alla Thule della
tradizione celtica e all’Avalon delle leggende bretoni.
Vale la pena fermarsi, almeno di sfuggita, su una di queste tappe
in modo da vedere un po’ più da vicino il sistema di
rielaborazione e riscrittura delle proprie fonti attuato da Tolkien:
il reame di Celeborn e Galadriel.
Brevissimamente: Lothlórien è una terra circondata
da fiumi, il cui segno distintivo sono gli alberi dorati, i mallorn,
le cui foglie in autunno non cadono ma diventano d’oro, cadendo
in primavera allorché spuntano le nuove foglie verdi e i
fiori gialli. Ivi abitano gli immortali elfi, si odono canti soavi,
si guarisce da malattie e da dispiaceri, il tempo sembra immobile
(Frodo e gli altri vi si fermano per un mese ma credono sia trascorsa
solo una settimana).
Lothlórien denota le caratteristiche proprie delle regioni
elfiche della tradizione irlandese: bellezza, capacità risanatrici,
diverso scorrere del tempo, presenza di esseri soprannaturali, dolci
musiche, e così via. L’attraversamento di corsi d’acqua
(i componenti della Compagnia devono superare i fiumi Nimrodel e
Celebrant, per giungervi) era una delle modalità d’ingresso
nelle terre degli Elfi. Per i Celti infatti l’Altro Mondo
(chiamato Tir na nOg, “Terra dei Viventi” o
“Terra dei Giovani” o, più semplicemente Sid,
“pace”) era ubicato al di là di mari o fiumi.
Si trattava di una contrada parallela, serena e luminosa, posta
fuori dello spazio e del tempo, dove non vi erano né malattie
né vecchiaia.
Tra le fonti di Tolkien vi fu, probabilmente, il racconto irlandese
La navigazione di Bran (testo del VII-VIII sec.), i cui
protagonisti approdano all’isola denominata Emain Ablach,
un luogo bellissimo, privo di difetti, dove sorge un bosco i cui
alberi hanno foglie d’oro.
La compresenza di tante immagini oltremondane non può ritenersi
una trovata narrativa né, tantomeno, si può ritenere
che il loro accostamento sia del tutto casuale (Tolkien sosteneva
che il Mondo Secondario dovesse essere dotato di leggi e norme ben
precise in modo da essere credibile in sé e per sé,
per cui nulla poteva essere lasciato al caso: dal nome di un personaggio
alla descrizione di una località, alle vicende storiche che
avevano preceduto gli avvenimenti narrati, alle esperienza descritte).
In realtà, la ripetizione appartiene all’ottica dell’itinerario
iniziatico. Essa ha uno scopo: permettere a colui che viaggia di
capire quanto non aveva compreso nell’occasione precedente.
In altre parole, il rinnovarsi di momenti e situazioni, il rivivere
circostanze analoghe, fa sì che il protagonista afferri ciò
che prima non aveva inteso oppure che gli era sfuggito e, quindi,
di crescere, maturare.
Nel Lord of the Rings, le ripetute catabasi, l’attraversamento
di luoghi oltretombali, il contatto con esseri soprannaturali, ecc.,
presentandosi secondo una gradazione d’intensità e
di valore (dalla più semplice e breve, la Vecchia Foresta,
alla più lunga e drammatica, Mordor), consente ai diversi
personaggi del libro di acquisire una progressiva maturazione, sottolineando
l’aspetto iniziatico della vicenda.
Ma, se questa interpretazione è valida, perché Tolkien
adopera il topos del viaggio nell’Aldilà,
riproponendolo nei modi sopra accennati?
Una possibile risposta: Mordor non è solo il Paese dei Morti
della mitologia e del folklore, è qualcosa di più…
Si pensi alle sue caratteristiche: cielo perennemente oscurato da
nubi nere, aria pestilenziale, acque contaminate, terra sterile
e ridotta allo stremo, flora e fauna pressoché inesistenti,
cumuli di rifiuti e scorie dovunque, moltitudini di schiavi che
lavorano per il suo sostentamento, ecc. Uno scenario che ricorda
luoghi contemporanei, uno scenario, cioè, dove sono ampiamente
visibili le devastazioni e gli sconvolgimenti provocati dall’inquinamento
e dalla desertificazione, ossia gli effetti dell’industrializzazione
sul paesaggio1. Un’autentica waste land insomma.
A sua volta, la figurazione di Sauron come un occhio che osserva
e controlla instancabilmente dall’alto della sua torre si
pone come una metafora del Potere di grande impatto e che riecheggia
il celebre Panopticon di Jeremy Bentham2. Il
Dark Lord, infatti, è al vertice di una struttura
piramidale, fortemente gerarchizzata, tenuta insieme però
solo dalla violenza e dalla forza di volontà, tanto è
vero che alla caduta di questi si sfalderà immediatamente.
Nei romanzi di Tolkien, il mondo moderno nei suoi aspetti peggiori
sembra sostituire l’Aldilà.
Il cammino di Frodo non ha solo una meta ma anche uno scopo: distruggere
l’Anello. L’One Ring ad un’iniziale lettura
sembra un oggetto magico, ponendosi in relazione con tutta una serie
di anelli della mitologia germanica e dei romanzi cavallereschi.
Ma anch’esso è molto di più.
Il suo concedere a colui che lo porta al dito un potere totale che
investe – per conoscere, alterare e sottomettere –,
il tempo, le cose, la natura e gli esseri viventi, potrebbe leggersi
come una sottile e acuta rappresentazione della tecnica e del potere
ad essa connesso. La tecnica sembra offrirsi esattamente come strumento
tramite il quale superare se stessi e sostituirsi alla divinità
Per Tolkien, allora, la tecnica non è né può
essere un alcunché di neutrale, per cui guasti e svantaggi
da essa provocati deriverebbero solo da un suo uso errato. Essa,
al contrario, è uno strumento interamente negativo e apportatore
di danno. Nella sua prospettiva, le grandi possibilità di
utilizzo e realizzazione di progetti che, oggi come forse mai in
passato, si riconoscono alla tecnica – possibilità
traslate, come si è detto, nei poteri magici dell’Anello
–, invece di aiutare, come proclamano, l’uomo a liberarsi,
lo indurrebbero ad un sempre maggiore assoggettamento e pervertimento,
modificandolo in maniera sostanziale.
In Tolkien, tuttavia, il potere non è inteso solo ed esclusivamente
in senso negativo. A Mordor si contrappongono i reami elfici e a
Sauron si contrappone Aragorn, il cui percorso è un itinerario
di restaurazione regale. Per Tolkien ad un potere assolutamente
malvagio e tirannico si contrappone un potere benefico e positivo
dove le relazioni sono di reciproca e spontanea lealtà, formando
l’immagine della comunità organica nella quale ognuno
è indispensabile. A Imladris come a Lothlórien, a
Rohan come a Minas Tirith, l’autorità che proviene
dall’alto non è imposta ma riconosciuta. Il sovrano
incarna le virtù condivise dal popolo. La sua superiorità
deriva da sé, senza bisogno di meccanismi di coercizione
e controllo.
In estrema sintesi, alla modernità si oppone il valore delle
tradizioni, degli antichi costumi, delle norme del passato rappresentate
tramite il ristabilimento della regalità – ristabilimento
che, nondimeno, è anche e soprattutto un rinnovamento –
attuato da Aragorn e Gandalf.
Il viaggio di Frodo, allora, acquista particolare valenza e significato
assurgendo ad efficace metafora della tormentata condizione dell’uomo
contemporaneo alle prese con le ansie e le inquietudini della modernità.
Note
1.- Lo stesso scenario è ravvisabile
a Isengard, la dimora di Saruman trasformata e deturpata da macchinari
ed escavazioni.
2.- Il Panopticon era una edificio circolare al cui centro era una
torre da cui un solo guardiano poteva controllare tutto e tutti.
Lo ‘schema panoptico’ poteva essere applicato non solo
al carcere ma anche all’ospedale, alla fabbrica, alla scuola,
e così via, in modo da determinare nel detenuto, nel malato,
nell’operaio, nello studente la consapevolezza di essere tenuto
sempre a vista, assicurando il funzionamento automatico del potere.
Al riguardo si leggano le illuminanti pagine di M. Foucault, Sorvegliare
e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1993.
Bibliografia
Stefano
Giuliano è autore di "Le
radici non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità
in Tolkien", Salerno, Ripostes