Tutte le donne di Tolkien
di Roberto Paura

a trilogia di Tolkien non mi aveva mai attirato, la consideravo “roba da maschi” » ha rivelato l'attrice Miranda Otto, interprete del personaggio di Eowyn nel film del Signore degli Anelli . Similmente, la più celebre Liv Tyler (Arwen), davanti alla sceneggiatura propostale dal regista Peter Jackson, commentò: «Non è quel libro di cui tutti i miei compagni maschi parlavano a scuola?». Le due frasi riportate non sono altro che gli strascichi di un luogo comune nato molto prima che l'opera di Tolkien divenisse il fenomeno di costume a cui siamo abituati oggi, cioè che Il Signore degli Anelli sia un'opera essenzialmente maschilista. La Compagnia dell'Anello, che dovrebbe rappresentare i cosiddetti “popoli liberi della Terra di Mezzo”, è composta da nove membri, i nove protagonisti della storia, ma tra questi non vi è nessuna donna. Alcuni hanno deciso di spiegare quest'omissione come un atteggiamento voluto da Tolkien, il quale non avrebbe mai considerato le donne alla stregua degli uomini ma come delle semplici ‘appendici' di questi ultimi. Il mondo femminista degli anni '60 e '70 ha perciò reso Il Signore degli Anelli il manifesto del pensiero maschilista da distruggere. Consideriamo innanzitutto il fatto che Tolkien, come massimo esperto di letteratura medievale qual'era, scrisse Il Signore degli Anelli utilizzando i canoni tipici delle romance , nelle quali le imprese eroiche erano ovviamente ‘roba da uomini' e le donne erano tutte fanciulle che sospiravano in castelli aspettando l'eroe che, vincendo il duello, avrebbe avuto la loro mano. Il Signore degli Anelli è un romanzo medievale nell'ambientazione, non certo contemporaneo. E' come se nell'Ottocento si fosse criticato Manzoni perché nei Promessi Sposi dava una brutta immagine di Milano; ma stava parlando della Milano del Seicento!

Al di là di questo indispensabile chiarimento, appare ovvio invece al lettore più competente delle opere di Tolkien che tutto si potrà dire di lui tranne che fosse stato maschilista. Perché nei suoi romanzi appare un gran numero di donne, e diversamente dagli uomini – spesso fallaci, ingenui o arroganti – esse sono sempre superiori, grandiose e tutte in qualche modo uniche. E lo vedremo subito, partendo da una donna che nei romanzi di Tolkien non è mai penetrata ma che sicuramente ha infuso in tutte le creature femminili descritte dal nostro una sua parte di personalità:

Edith Mary Bratt Tolkien

Una parte della critica e dei biografi di Tolkien non ha mai mostrato interesse verso la sua “dolce metà”, la ‘signora Tolkien”. Edith Bratt, invece, non può certo essere tralasciata in questo modo visto come per Tolkien fu la cosa più importante nella sua vita (insieme ai figli) ed ebbe un sicuro peso anche nelle opere del Professore. Analizzando il racconto del loro amore appare subito chiaro che Tolkien, lungi dall'essere il maschilista come venne poi dipinto (ma del resto l'hanno bollato anche come fascista, razzista, nazista, reazionario, nostalgico conservatore, bigotto timorato e puritano…), aveva in realtà un'idea del valore della donna che al giorno d'oggi non troverebbe spazio. I due si incontrarono quando lei aveva 19 anni e Tolkien 17. Entrambi orfani, subito si stabilì tra i due un legame particolare che si trasformò in intensissimo amore. Davvero significativo uno dei pochissimi stralci autobiografici che abbiamo di Tolkien, preso da una lettera pubblicata poi dal figlio Christopher insieme a molte altre. E' una testimonianza dell'affetto che univa i due (fu scritta molti anni dopo il loro matrimonio); egli ricordava « Il primo bacio che ti ho dato e il primo bacio che mi hai dato, quasi accidentale; le nostre serate quando ti affacciavi alla finestra con la tua camicia da notte bianca e facevamo lunghe e assurde chiacchierate; guardavamo, attraverso la foschia, il sole sorgere sulla città, in lontananza sentivamo il Big Ben battere le ore, una dopo l'altra; le falene che ti spaventavano fino a farti rientrare; e il nostro fischio di richiamo, le passeggiate in bicicletta, le discussioni accese e i tre grandi baci». Un amore, quello tra Tolkien ed Edith, che dovette confrontarsi con sfide terribili. Venuto a sapere della relazione, il tutore di Tolkien, padre Francis Morgan, impose al nostro di troncare la storia finché egli non avrebbe compiuto 21 anni. Significava non vedere Edith per tre anni. Ma Tolkien nutriva grande affetto per padre Francis, l'unico che si era preso cura di lui e del fratello dopo la morte della madre. Così, nonostante alcuni incontri ‘clandestini' che fecero adirare ancora di più il tutore, la relazione fu troncata. Ma Tolkien non smise un attimo di pensare ad Edith in quei tre anni, e quando l'orologio batté la mezzanotte del giorno del suo ventunesimo compleanno lui già stava scrivendo la lettera per Edith. La quale rispose che si era fidanzata, e che presto si sarebbe sposata, ma facendo capire che era più per paura di rimanere zitella che per amore intenso. Così quando Tolkien scese giù dal treno che aveva preso per giungere nel paese dove abitava ora Edith, la ragazza era già lì ad aspettarlo. I due si rimisero insieme e si sposarono nel 1916.

Negli anni il loro amore non si attenuò. Vissero insieme fine alla morte di Edith, sulla cui tomba Tolkien fece incidere il nome di Lúthien, la fanciulla elfica di cui Tolkien narrò la storia (che vedremo dopo) prendendo ispirazione proprio da Edith. Ci si può chiedere quale peso avesse Edith nel lavoro del marito. Bè, in questo caso si può rispondere ‘ben poco'. Nei primi tempi Edith riscriveva a macchina ciò che il marito segnava a matita sui fogli, ma col tempo Tolkien raggiunse l'autonomia nella scrittura a macchina. Qualcuno potrebbe avere da ridire sul fatto che Tolkien ed Edith dormissero in camere separate, ma se si considera che la ragione risiedeva nel fatto che Tolkien scriveva fino a tarda notte e peraltro russava, e dunque perciò preferiva dormire da solo per non recare fastidio alla moglie, si può avere un esempio di quanto i due fossero attenti alle esigenze dell'altra metà. Il fatto poi che Tolkien non inserisse Edith nella sua vita professionale non risiede affatto nel suo essere elitario e sessista, ma in due motivi. In primo luogo Edith era molto timida, e non le piaceva avere molti contatti col mondo accademico del marito che considerava troppo formale e burocratico anche negli affetti. In secondo luogo lo stesso Tolkien riteneva che marito e moglie dovessero agire in ambienti diversi, nel senso che lui aveva delle amicizie che Edith non frequentava e a sua volta Edith aveva delle amicizie che lui non frequentava. I due mondi non s'incontravano mai se non nell'ambito della vita familiare. Il biografo di Tolkien, Humphfrey Carpenter, ci racconta che quando negli ultimi anni Tolkien ed Edith chiacchieravano - spessissimo – parlavano sempre di argomenti che riguardavano i figli, i nipoti, la casa. Non ci deve stupire questo atteggiamento. Primo perché ancora oggi è abituale in molte situazioni, ma soprattutto perché questo era l'atteggiamento dell'epoca, che noi non possiamo paragonare al nostro e che all'epoca era perfettamente accettato dall'uomo e dalla donna. Insomma, dal rapporto tra Tolkien ed Edith possiamo avere un'idea precisa del valore che il ‘femminile' ha per Tolkien. E lo vedremo continuando questa trattazione.

Le Valier

Non è certo un caso che il novero degli dèi tolkieniani comprenda un gran numero di personaggi femminili. In realtà più che vere e proprie dee sono considerate – nell'accezione più usata – “potenze angeliche”. Ed è da notare il fatto che la ‘religione' su cui si basano le storie di Arda (dove si trova anche la Terra di Mezzo) sia molto più matriarcale della religione professata da Tolkien, il cattolicesimo, che oltre alla Madonna non considera nessun'altra creatura femminile (e anzi è eminentemente maschilista, basti pensare al fatto che le suore non possono dire messa). Queste ‘potenze angeliche' sono chiamate Valar, e le loro compagne femminili sono dette Valier. Ma non bisogna in alcun modo ritenere che le Valiar abbiano il solo ruolo di spose dei Valar. Esse sono pari a loro, e in alcuni casi superiori. Tutte, comunque, agiscono su piani differenti rispetto agli ambiti dei loro compagni. Il più grande dei Valar è Manwë, e sua sposa è Varda, la Signora delle Stelle. Varda si identifica con la luce. La potremo definire la dea della luce. Luce correlata all'idea di bene, di gioia, di speranza, nettamente opposta alla tenebra del Male incarnato da Melkor (il quale è definito appunto come Negromante o Oscuro Signore). Può essere interessante notare che questo dualismo luce=femminile, oscurità=maschile si contrapponga all'archetipo classico dello yin e dello yang (in cui è il lato oscuro ad essere femminile). Può essere altresì interessante notare che Ursula Le Guin, nel suo capolavoro La Mano sinistra delle Tenebre , pare riprende la concezione tolkieniana del dualismo luce-ombra con la famosa espressione “la luce è la mano sinistra delle tenebre”. Comunque sia, Varda è forse la Valia più importante nella mitologia tolkieniana, viste le numerose invocazioni nel Signore degli Anelli (qui col nome di Elbereth, invocata anche da Frodo nell'oscurità della tana di Shelob).

Un'altra importantissima figura femminile nella mitologia tolkieniana è Yavanna, la sposa di Aulë, il quale agisce su tutto il mondo materiale. Yavanna si prende cura di tutto ciò che cresce nel mondo, gli alberi, i frutti, i fiori, la terra. In questo caso è molto facile riconoscere che Yavanna personifica la figura – comune a moltissime religioni ancestrali – della Dea Madre, connessa all'idea della fertilità, in questo caso più solitamente chiamata Madre Terra. Ed è evidente la sua superiorità rispetto ad Aulë: mentre infatti questo crea la razza dei nani forgiandola dalla pietra e dalla terra, dunque in qualche modo contro natura, Yavanna ha con la natura un rapporto simbiotico, dunque di rispetto e di armonia. Si ritiene di solito che la mitologia tolkieniana abbia attinto da quella della tradizione nordica, cosa del tutto vera, ma si possono riconoscere influenze anche della mitologia classica. Questo ci fa riflettere però soprattutto sul fatto che le mitologie – quelle reali – hanno tutte elementi in comune. Dunque se nella mitologia classica Yavanna può essere paragonata alle figure di Demetra e di Proserpina, Vairë la tessitrice – sposa di Námo, custode delle Case dei Morti – si paragona facilmente alla tradizione delle Erinni, che tessono il destino degli uomini. Con la differenza che le Erinni spesso e volentieri assumono connotati spiccatamente malvagi, mentre Vairë impersona la figura tradizionale della tessitrice che può essere assimilata alla Penelope omerica. Notiamo il fatto che le Valier hanno tutte sfere d'influenza chiaramente ‘femminili', non c'è posto qui per quelle donne della tradizione nordica a metà tra le amazzoni e le valchirie. Quindi la sposa di Tulkas, il più bellicoso e valoroso tra i Valar, è Nessa, che però fa della rapidità guerriera di Tulkas un fatto preminentemente femminile, facilmente notabile nella descrizione della sua agilità e leggerezza e nell'amore per i daini, suoi ‘animali sacri'. E ancora di più Vána, sorella minore di Yavanna e sposa di Oromë, con la sua caratteristica di far sbocciare i fiori ovunque posi lo sguardo, dimostra che le Valier agiscono in ambiti diversi da quelli dei loro compagni. Figura a sé è infine Nienna. Ella è particolare perché unica tra le Valier a vivere sola, senza compagno. Nienna personifica la tradizionale figura della vedova, o ancor di più della santa che decide di isolarsi dal mondo per pregare sulle disgrazie che opprimono gli umani. Nienna infatti si lamenta perennemente del male prodotto da Melkor nel mondo, e il suo lutto per questo male è un lutto interminabile.

C'è da parlare però anche di un'altra donna, che non fa parte delle Valier ma è una Maia. Nella concezione mitologica tolkieniana i Maiar sono della stessa stirpe dei Valar ma di grado inferiore. Sauron è in effetti un Maia. Ma noi parliamo qui di Melian. Melian è una figura molto importante: nel momento in cui gli elfi vennero alla luce, ella abbandonò Valinor e si recò nella Terra di Mezzo per amor loro. E per amore di uno di questi, Elwë, Melian decise di non fare più ritorno nel Reame Beato ma di rimanere nella Terra di Mezzo. Qui creò insieme al suo sposo il Doriath, detto Reame Vigilato. Vigilato perché a protezione di questa terra, per impedire che vi penetrasse la malvagità delle forze di Morgoth, Melian creò una cintura magica, detta “cintura di Melian”, che lasciava questo reame puro e incorrotto. Interessante fare un paragone con la cintura di castità, elemento prettamente femminile, perché entrambe hanno come scopo proteggere la purezza di qualcosa [quantunque il paragone non possa spingersi, ovviamente, molto oltre la pura analogia "esteriore", N.d.C.]. Ma ancora di più l'esempio di Melian è importante perché dimostra la superiorità, all'interno della coppia, della donna, che in Tolkien vedremo diverse volte. Illuminante a tal proposito, per concludere qui, un passo di Chiara Nejrotti alla voce femminilità del Dizionario dell'Universo di J.R.R. Tolkien : «In nulla i personaggi femminili sono inferiori ai loro complementari maschili, né appaiono passivi rispetto all'attività dei primi… Non solo le donne non appaiono inferiori, ma anzi Tolkien fa sì che nell'unione con la compoente maschile esse siano di solito ontologicamente superiori: Melian, Lúthien, Arwen appartengono ad una razza più elevata rispetto a quella dei loro sposi».

Galadriel

Galadriel è certamente il personaggio femminile più noto e importante del Signore degli Anelli. La sua storia, tuttavia, inizia molto prima degli avvenimenti della Guerra dell'Anello, e si perde nelle brume del tempo fino all'epoca della rivolta dei Noldor contro i Valar e la partenza degli Elfi per la Terra di Mezzo. Galadriel è una e trina; di lei abbiamo numerose versioni, numerose sfaccettature, ma principalmente sono tre quelle che c'interessano: la Galadriel fiera e ribelle che capeggia la lunga marcia dei Noldor verso la Terra di Mezzo; la Galadriel enigmatica, sospesa tra bene e male che subisca la tentazione dell'Anello; la Galadriel guida spirituale di Frodo verso il compimento della sua missione. La Galadriel ‘prima maniera' è una donna intrepida e orgogliosa, mossa da desideri di avventura e vendetta. Nel Silmarillion la si descrive in un passo come l'«unica tra le donne dei Noldor a stare quel giorno alta e animosa tra i principi impegnati in contesa». E' una delle principali sostenitrici del progetto di abbandonare Valinor e giungere nella Terra di Mezzo per sfidare Morgoth e riavere i Silmarilli rubati. Non solo: sarà lei la principale guida dei Noldor nella lunga impresa di attraversare le gelide terre del Beleriand e sfidare freddo e ghiaccio pur di non arrendersi, spinta dal orgoglio e coraggio. Sempre nel Silmarillion si spiegano le intenzioni di Galadriel: stabilirsi nella Terra di Mezzo e creare lì un suo reame. Tale scopo è alla fine raggiunto, perché Galadriel diverrà signora di Lórien, la più bella delle terre della Terra di Mezzo.

Prima di tale evento, però, avviene in Galadriel un mutamento. Ella giunge nel Menegroth, dove è sovrana Melian, e s'innamora di Celeborn. In quel momento Galadriel ripone i suoi sentimenti di fierezza e di vendetta e diviene una donna come le altre, resa umana dall'amore. Tuttavia non bisogna credere che in questo momento termini la Galadriel ‘prima maniera' e nasca un personaggio del tutto nuovo. I vari aspetti del carattere di Galadriel non sono indipendenti tra di loro, ma convivono nella personalità della dama elfica. Per secoli Galadriel e Celeborn vivranno in Lórien, ma dovranno affrontare il risveglio di Sauron e con esso il risveglio del male. In questo momento avviene una nuova ‘fase' per Galadriel. Gli elfi stanno abbandonando a poco a poco la Terra di Mezzo. Il loro tempo, dicono, è finito, e al termine della Guerra il mondo sarà degli Uomini. Fanno dunque ritorno a Valinor, per vivere lì in pace per sempre. Ma Galadriel non può farvi ritorno. Su di lei pende il bando dei Valar, che l'hanno così punita della sua ribellione contro di loro. Ma Galadriel non vuole tornare, perché ancora non ha terminato il suo compito e ancora non ha affrontato la sfida più importante. Il suo compito è quello di combattere contro il Male, che in questo caso s'incarna nell'ultimo emissario di Morgoth, Sauron. Quando Sauron sarà sconfitto, il suo compito sarà terminato. Al contempo, però, deve affrontare l'ultima sfida: la tentazione dell'Anello. E' uno dei momenti catartici del Signore degli Anelli , ma è un momento fondamentale per Galadriel se si inquadra in ciò che lei ha passato precedentemente. Galadriel è la custode di uno dei tre anelli elfici, Nenya, ma è continuamente attratta dal potere dell'Unico. A spingerla verso questa brama è da una parte, come in Gandalf, il desiderio di fare del bene, sconfiggere Sauron e ridonare vita alla terra martoriata dal Male. Ma dall'altra parte c'è la sua superbia, che la spinge verso un inconscio ma sempre esistito desiderio di onnipotenza. Davanti all'offerta di Frodo Galadriel si trasfigura, ed abbiamo un'immagine di cosa diverrebbe se abbracciare il potere dell'Anello. Ma alla fine, con un grande sforzo, Galadriel resiste alla tentazione, scoppia in una risata e capisce di aver affrontato con successo la prova più importante, quella di dimostrare che la sua presunzione non è la stessa che ha portato Morgoth alla dannazione. Lei sceglie il Bene. 

E' da questo momento che Galadriel esce di scena, ma la sua presenza è palpabile in tutti i momenti di difficoltà di Frodo e della Compagnia. Galadriel si manifesta continuamente nei doni da lei consegnati agli otto compagni, e soprattutto in quello di Frodo. La luce di Varda, che Frodo invoca, ha in sé la silenziosa esortazione di Galadriel a continuare ad andare avanti e non fermarsi ma giungere a completare la sua missione. Molti hanno assimilato la figura di Galadriel a quella della Madonna (a Tolkien stesso fu posta la domanda se il paragone fosse possibile). Un accostamento realistico. Forse inconsciamente, Tolkien infuse a Galadriel la forza di una donna superiore che – come un corrispettivo femminile di Gandalf – avesse la capacità di guidare Frodo e di incarnare la speranza. Bellissima una scena del film di Jackson che bene dà l'idea: Galadriel che appare a Frodo esanime fuori dalla tana di Shelob, e gli offre la mano per rialzarsi e continuare lungo la sua strada. Seppure Tolkien non avesse in mente la figura della Madonna (ma probabilmente a un certo punto capì la similitudine si adattò ad essa), Galadriel è comunque nel Signore degli Anelli un faro di luce e di speranza che non tramonta fino al momento in cui Frodo riuscirà nella sua missione, ed allora Galadriel – conclusa la sua storia – lo accompagnerà nel viaggio finale verso Valinor, dove l'attende il giusto premio per le sue fatiche.

Erendis, la moglie del marinaio

La storia di Erendis ci viene narrata in uno dei più bei racconti incompiuti di Tolkien, Aldarion ed Erendis – la moglie del marinaio. Il protagonista della storia è Aldarion, apparentemente, ma già dal sottotitolo del racconto si capisce come in realtà sia la figura di Erendis a predominare (per quanto di persona appaia poco). Aldarion è figlio del re di Numenor ed erede al trono dell'isola. Ma il suo interesse non va alla gestione del regno o alla politica, ma al mare. Egli è divorato dalla bruciante passione dei viaggi per mare, viaggi che lo portano sempre più lontano da casa e sempre più lontano, al contempo, dall'affetto della famiglia. Ma un giorno Aldarion incontra Erendis, e se innamora. La donna ne era già innamorata precedentemente, ma conscia dell'impossibilità di essere ricambiata da un uomo che ha già in cuor suo un grandissimo amore. Tuttavia Aldarion corteggia Erendis a tal  punto che la donna lascia da parte le sue riserve e i due si fidanzano. Ma subito dopo il fidanzamento ecco riaccendersi in Aldarion la brama per il mare e per i viaggi, ed egli riparte per un paio d'anni.

Erendis comincia a capire che sta combattendo una lotta per ottenere l'amore di Aldarion, una lotta tra lei e il mare. E teme e disdegna di fare la fine di una qualsiasi moglie di un marinaio, costretta ad attendere eternamente il ritorno del marito da un lungo viaggio, lei che ha sposato il futuro re di Númenor. Al ritorno di Aldarion segue il fastoso matrimonio e la nascita di una figlia di incredibile bellezza, Alcalimë. Ma ancora una volta, dopo alcuni anni di felicità e di amore, Aldarion torna ad avere voglia di riprendere il largo. A nulla valgono le lacrime di Erendis e l'abbraccio tenero della piccola figlia. Aldarion riparte e sarà lontano molti anni. Al suo ritorno Erendis ha preso la sua decisione: abbandonare Aldarion. Ma lei è una donna altezzosa, e non si piega al marito andandosene di casa, ma scacciandolo. Così quando Aldarion giunge alla sua casa, la trova sbarrata, e senza nessun benvenuto giunge alla casa dove ora abita Erendis, ottenendone un freddo saluto e l'ordine di abbandonare la residenza il mattino dopo. E' un gesto fondamentale. Qui Tolkien dimostra di essere capace di comprendere alla perfezione una scelta, quella della separazione, che un uomo così cattolico come lui in teoria non potrebbe mai accettare, legato com'è al valore sacro del matrimonio. Eppure Tolkien dimostra di parteggiare per Erendis, la quale per lui si comporta bene nella sua scelta.

Erendis alleva la figlia in un ambiente totalmente femminile. L'amore che Erendis provava per Aldarion si trasforma in un odio per tutti gli uomini, odio che trasmette anche alla figlia. Superbe sono alcune scene in cui è possibile mettere a confronto i due modi di vedere l'altro sesso, da parte di Aldarion e di Erendis. «Erendis non ama né me né alcun altro», afferma Aldarion «Ama se stessa con Numénor come scenario e me quale un cane docile, che sonnecchi accanto al focolare finché a lei non venga l'idea di andarsene a passeggio per i suoi campi». Ed Erendis dimostra di avere una concezione pressoché identica degli uomini: «Essi si gingillano per il mondo, mentalmente bambini, finché l'età non li sorprende, e allora molti abbandonano i giochi fuori dall'uscio solo per dedicarsi al gioco in casa loro (…). Tutte le cose sono state fatte a loro beneficio: le colline servono per cavarne pietre, i fiumi per fornire acqua o muovere le ruote, gli alberi per ricavarne tavole, le donne per i loro bisogni fisici o, se belle, per adornarne tavole e focolare; e i bambini per vezzeggiarli quando non ci sia meglio da fare, ma altrettanto volentieri giocano con i cuccioli dei loro cani». Insomma, Aldarion ed Erendis in realtà sono molto simili perché entrambi vorrebbero rendere la propria controparte come un “cane docile”. Ma Erendis dimostra di andare addirittura contro natura, divenendo androfobica e impedendo alla figlia di vere uomini, tanto che quando Ancalimë s'innamorerà e si sposerà, non trascorrerà nemmeno un giorno col suo sposo perché subito il suo smisurato egocentrismo le impedisce di dividere la vita con un altro. In tal senso la storia di Erendis è affascinante, perché se da una parte giustifica l'evenienza della separazione per incompatibilità di carattere, dall'altra critica la possibilità di poter vivere senza la compagnia dell'altro sesso, compagnia che ci viene imposta dalla natura (e, per Tolkien, da Dio).

Lúthien

La figura di Lúthien è forse la più significativa di tutte quelle che trattiamo qui. Innanzitutto perché rappresenta l'ideale femminile di Tolkien. Egli prese ispirazione per la creazione di Lúthien, come si è detto, da sua moglie Edith. E il fatto che sulla tomba di quest'ultima avesse fatto incidere il nome dell'elfa la dice lunga. Ma Lúthien in realtà non è solo l'ideale femminile di Tolkien, ma l'ideale femminile per eccellenza: considerare la figura di Lúthien un archetipo di tipo jungiano non è né un'esagerazione né una banalità, è un dato di fatto. In realtà l'intero racconto di Beren e Lúthien è un archetipo. In esso ci sono più contaminazioni di altri racconti della tradizione europea di ogni altra storia facente parte del ricco corpus di leggende del Silmarillion.

Come nella vicenda di Erendis, il protagonista apparente non è la donna ma l'uomo, Beren. In realtà però anche qui Lúthien è non solo la figura più importante, ma anche il motore che fa muovere l'intera narrazione. Giunto nel Reame Protetto del Doriath dopo lunghe peregrinazioni, Beren scorge in un bosco, alla luce della luna, l'elfa Lúthien, figlia di Melian (di cui già abbiamo parlato) e di Thingol, sovrani del Doriath. Ella è ritenuta la più bella creatura mai esistita al mondo, e Beren se ne innamora ma di un amore folle e selvaggio, e per giorni vaga come una bestia finché non la ritrova. Lúthien vede anch'ella Beren, e anch'ella se ne innamora. Ma, come in ogni storia che si rispetti, l'amore tra i due è impossibile. Innanzitutto Lúthien è figlia del re, e di un re elfico, mentre Beren è un uomo (il contrastato amore tra una donna di rango reale e un uomo del popolo è un tema ricorrente sia nella tradizione occidentale ma anche in quella orientale, si pensi a varie novelle de Le Mille e una Notte). Questo è il primo nodo della questione. Lúthien, però, innamorata com'è di Beren, sfida la collera del padre e porta l'amato al suo cospetto. Thingol risolve la questione in modo meschino: Beren avrà la mano di Lúthien solo se riuscirà nell'impresa di portare al re un Silmaril dalla corona di ferro di Morgoth. Impresa impossibile. Anche qui il tema tradizionale del re che impone all'eroe una sfida impossibile (per citare gli esempi classici: le fatiche di Eracle e l'impresa di Giasone). Ma Beren accetta per amore di Lúthien. In realtà la vicenda vera e propria del racconto, per quanto affascinante, è piuttosto semplicistica. Si devono però focalizzare i punti più importanti: Lúthien non rimane con le mani in mano, ma sfugge alla sorveglianza del padre (facendosi cresce una lunga treccia grazie alle quale si cala giù dalla sua residenza, riprendendo la fiaba di Raperonzolo) e sfida insieme all'amato la sfida più incredibile affrontata da un vivente. Anzi, è Lúthien a salvare Beren dalla morte sicura per mano di Sauron, e al contempo a permettere a Beren di riuscire nell'impresa di strappare il Silmaril (si noti la somiglianza col personaggio di Medea nel mito degli Argonauti – non nella tradizione sofoclea – che permette all'eroe di recuperare il Vello solo grazie alle sue arti).

L'elemento che però rende unica questa storia sembra non interessare eccessivamente Tolkien, tant'è che stranamente lo relega nelle ultime pagine del racconto. E' la scelta finale di Lúthien. Beren rimane ferito a morte nell'impresa, ed egli è un mortale, e la sua vita è giunta a un termine, mentre Lúthien è di razza elica e quindi eterna. Qui sta l'irresistibile bellezza della storia, nella scelta di Lúthien di rinunciare alla sua immortalità per amore di Beren: quando quest'ultimo muore, anche Lúthien si lascia morire e giunge nella aule di Mandos. Si riprende, qui, un altro tema della tradizione, in questo caso quello del mito di Orfeo ed Euridice: Lúthien infatti intona un canto di struggente bellezza che convince Mandos a intercedere presso Manwë, il più grande dei Valar e ‘luogotentente' di Ilúvatar (Dio). Viene a lei concessa una scelta: come premio per i patimenti che ha sofferto in vita per amore di Beren, potrà giungere a Valinor e lì abitare in eterno con i suoi simili. O, altrimenti, tornare nella Terra di Mezzo insieme a Beren e vivere lì nuovamente insieme. Ma a questo punto Lúthien condividerà il destino di Beren e morirà, e di lei svanirà ogni traccia dal mondo. E' questo il destino che sceglie Lúthien: sacrificare la sua vita immortale per godere dei pochi anni felici insieme all'uomo da lei amato. Una parabola della forza dell'amore che abbatte anche le barriere della vita e della morte.

Arwen

La trasposizione cinematografica del Signore degli Anelli fatta da Peter Jackson ha reso il personaggio di Arwen tra i protagonisti della storia. Addirittura Jackson intendeva inserire Arwen nel novero dei membri della Compagnia dell'Anello, fortunatamente poi si è riveduto. La maggioranza dei puristi tolkieniani ha criticato questa scelta. In realtà quello di riportare alla luce la storia di Arwen è stato uno dei migliori colpi di genio di Jackson e delle sue co-sceneggiatrici. Arwen appare fugacemente nella storia, descritta da Frodo a Gran Burrone: «Fu così che Frodo vide colei che pochi tra i mortali avevano ammirata: Arwen, figlia di Elrond, che si diceva reincarnasse le sembianze di Lúthien… Mai prima d'allora Frodo aveva visto o immaginato una tale bellezza in un essere vivente». Dopodiché, la fanciulla elfica in pratica scompare della storia. Tuttavia la sua vicenda ci viene narrata da Tolkien nelle Appendici del Signore degli Anelli, e scopriamo così il retroscena dell'amore tra Aragorn e Arwen e, al contempo, la struggente conclusione della loro vita.

In pratica la storia di Arwen ripercorre quasi le stesse tappe di quella di Lúthien. Non è un caso, visto che Arwen è in effetti diretta discendente di quest'ultima. E' il secondo caso di amore tra un mortale, Aragorn, e un'elfa immortale. La scelta di Arwen sembra scontata, letta nelle Appendici, ma nel film di Jackson ha una forza incredibile. Credo che la vicenda di Arwen ci abbia guadagnato enormemente rispetto a come Tolkien l'aveva superficialmente narrata. La storia forse è stata un po' cambiata, ma dando così la possibilità di comprendere tutte le ragioni della scelta di Arwen. Ella ha donato la sua immortalità in cambio dell'amore di Aragorn, così come fece Lúthien. Ma Elrond, il padre, è contrario a questa scelta. Non per arrogante desiderio di possesso, come in Thingol, ma per quell'umanissimo senso di amore paterno che porta un padre a struggersi per la perdita di un figlio. Elrond sa che per lui è giunto il momento di lasciare la Terra di Mezzo, essendo finito il tempo degli elfi, e che lo aspetta una vita immortale nel Reame Beato di Valinor in compagnia dei suoi simili. Ma soffre per l'eventualità di non rivedere mai più sua figlia, se essa sceglierà la morte. «Non sono forse tuo padre? Non ho anche io diritto al tuo amore?» le dirà Elrond. Ed Arwen capisce l'amore del padre, e decide di partire per Valinor. Ma a un tratto ha una visione, quella di un possibile futuro a fianco di Aragorn vincitore su Sauron, una vita felice insieme all'uomo amato. E torna indietro, dal padre, la cui umanità ancora una volta ha la meglio perché per amore della figlia sacrifica il suo personale interesse a quello di Arwen e per la sua felicità accondiscende a non rivedere mai più la figlia.

Sappiamo dalle Appendici del Signore degli Anelli la fine di Arwen e Aragorn. Vinta la Guerra dell'Anello, Aragorn come vediamo nelle ultime pagine del libro diviene re degli Uomini e sposa Arwen. Essi vivranno insieme una vita felice e lunghissima (poiché Aragorn ha sangue di Númenor nelle vene, e può vivere per un paio di secoli), ma alla fine Aragorn dovrà morire. Arwen, così, abbandona il regno degli Uomini, recandosi a Lórien in inverno, il regno ormai vuoto dopo la dipartita di tutti gli Elfi. E in questo scenario crepuscolare e malinconico Arwen si lascia morire, e la sua anima abbandona per sempre il mondo. Non è però il ripetersi del tema di Beren e Lúthien. La situazione è completamente diversa. In questa vicenda in primo luogo s'inserisce il personaggio di Elrond e il suo amore filiale, in secondo luogo si inseriscono gli eventi della Guerra dell'Anello. Perché Lúthien sa che tornando nella Terra di Mezzo con Beren potrà vivere anni felici e in pace, ma Arwen non sa se Aragorn riuscirà a sconfiggere Sauron: Aragorn potrebbe perire, la Terra di Mezzo crollare in un'era infinita di malvagità e disperazione, e in quel mondo morto Arwen dovrebbe trascorrere i suoi anni da mortale priva dell'affetto dell'amato e del conforto di un vita eterna e felice al di là del Mare. E' questa la bellezza della storia: Arwen accetta anche la possibilità (quasi la sicurezza) di un destino orribile ma non la possibilità di vivere in eterno senza il suo amore. La rinuncia all'immortalità è in questo caso la dimostrazione che non solo la vita è un dono e non va sprecato, ma anche la morte lo è perché è la fine di ogni sofferenza: la morte è «il dono di Dio», nella concezione mitologica del Silmarillion e ovviamente nell'ideale di Tolkien.

Eowyn

Tra i personaggi femminili del Signore degli Anelli, quello che ha colpito di più l'immaginazione dei lettori è Eowyn. Eowyn riprende ancora il tema della donna coraggiosa e intrepida che sfata il luogo comune della “fanciulla”, tuttavia in Eowyn il tema raggiunge il massimo grado di complessità. Eowyn è una femminista [ante litteram, N.d.C.]. Ella detesta dover sottostare alle regole imposte dalla tradizione alle donne: la tradizione di dover rimanere in casa mentre il marito è in guerra ed attenderlo tra le mura domestiche; la tradizione di occuparsi di lavori strettamente femminili, e di non poter occuparsi direttamente della faccende del proprio popolo; la tradizione di rimanere esclusa dalle scelte importanti. E' una donna che è vissuta nell'ombra delle grandi gesta dei suoi antenati, e al pari di suo zio Theoden e di suo fratello Eomer vuole ridare lustro e gloria alla sua casata. E' una donna che tuttavia teme, come ella stessa dice ad Aragorn, “la gabbia”, il dover rimanere lontana dalle cose importanti e lontana dunque dalla gloria e dall'onore. Eowyn non accetta questa tradizione, questo mondo maschilista, e si ribella.

Il suo amore va verso la spada, le gesta eroiche, la battaglia. Prima Aragorn e poi Theoden le impediscono di realizzare il suo desiderio di prendere mano alle armi e combattere a fianco del proprio popolo per la difesa di Rohan. A questo punto Eowyn si ribella e si traveste da soldato per partire in guerra. Gesto simbolico quello del travestimento, che esplica la volontà di Eowyn di dimostrare di essere pari agli uomini. Ella combatterà sotto le mura di Gondor e darà grande prova del suo valore nel duello con il Signore dei Nazgul: «Nessun uomo può uccidermi», si vanta il Re degli Stregoni. Ma ecco che Eowyn si strappa l'elmo e rivela la sua identità dichiarando fieramente: «Io non sono un uomo». E' il riconoscimento finale della sua femminilità, che aveva tentato di nascondere ma che infine è fiera di portare alla luce rivalutata e riportata alla pari con gli uomini, se non al di sopra. Eowyn riconosce il valore della donna.

Questo è il tema centrale della vicenda di Eowyn, che prosegue poi fino al termine del romanzo. Eowyn che si ribella alla tradizionale visione della donna, Eowyn che cede alla sua inevitabile femminilità innamorandosi di Aragorn e soffrendo per lui. Ma sarà Faramir, suo compagno di convalescenza, ad aprirle infine gli occhi in una scena che da sola basta a sfatare il luogo comune del Tolkien maschilista. «Desideravi l'amore di Sire Aragorn. Perché egli era grande e potente, e tu ambivi la fama, la gloria: volevi essere innalzata sopra le cose meschine che strisciano sulla terra. E come un grande capitano a un giovane soldato, egli sembrava a te ammirevole». E infine Eowyn capisce e accetta il suo essere donna: «Non sarò più una fanciulla d'arme, né rivaleggerò con i grandi Cavalieri, né amerò soltanto i canti che narrano di uccisioni». Eowyn cede all'amore di Faramir e lo ricambia, cosa che prima non avrebbe mai fatto perché avrebbe confermato la sua femminilità che cercava di nascondere. Il cammino di Eowyn femminista si è concluso: da donna vittima della tradizione a donna anticonformista che rivaleggia con gli uomini e riesce a dimostrarsi loro pari, infine donna che accetta la sua diversità come un valore e un elemento di cui essere orgogliosi. Con il personaggio di Eowyn Tolkien rende il suo straordinario omaggio all'unicità della donna.

Baccador

Tutte le donne finora considerate, seppur di razze diverse – umane, elfiche, divine -, possiedono caratteristiche ‘antropomorfe' nella personalità. Non è questo il caso di Baccador. La “figlia del Fiume” (come si definisce) compare nel più criptico dei capitoli del Signore degli Anelli , quello dedicato a Tom Bombadil. Come il suo sposo, anche Baccador è un'entità non perfettamente classificabile. Apparentemente è umana, ma possiede capacità spiccatamente elfiche e tuttavia è completamente diversa da ogni altra cosa. I commentatori si dividono da tempo sulla figura di Bombadil, che verosimilmente (secondo la tesi più accettata) appartiene alla stirpe dei Maiar, cioè della stessa di Gandalf, e come tale è una potenza ‘angelica' che è diretta emanazione della volontà di Ilúvatar. Dunque anche Baccador dovrebbe essere una Maia, della stessa stirpe di Melian. Tuttavia questa tesi viene a posteriori, e ancor più verosimilmente Baccador secondo Tolkien doveva incarnare lo spirito di una dama della tradizione fiabesca, una specie di novella Biancaneve. La vediamo intenta a fare il bucato, a preparare la cena, ad apparecchiare la tavola proprio come una tipica donna di casa.

Al di là di questi aspetti, tuttavia, Baccador possiede poteri al di là della normale comprensione, così come lo stesso Bombadil. Il male non corrompe assolutamente le loro persone, si veda infatti come Bombadil possa infilarsi al dito l'Anello senza subirne alcun influsso. Al contempo Baccador protegge costantemente la loro residenza dai pericoli della Vecchia Foresta e da mali ancora più oscuri che possono arrivare fin da loro. E' plausibile – viste le parole di Gandalf a Gran Burrone – che Baccador così come Bombadil in pratica sia una delle poche creature che possano ignorare in qualche modo l'effetto della conquista da parte di Sauron della Terra di Mezzo. In questo caso Baccador e il suo sposo supererebbero in potenza gli stessi Istari (Gandalf, Saruman, che invece soffrono e soccombono a causa di Sauron), e quindi più che Maiar potrebbero addirittura essere Valar, veri e propri dèi incarnati. In realtà ciò non è possibile, visto che Tolkien elenca compitamente tutti i Valar e le Valier e afferma che tutti questi vivono in Valinor (con le dovute ma dichiarate eccezioni), mentre Bombadil e Baccador vivono nella Terra di Mezzo prima dell'avvento degli elfi.

La coppia Bombadil-Baccador è atipica nel contesto tolkieniano. Abbiamo visto che la maggior parte delle coppie potenti nel mondo di Tolkien sia ‘matriarcale', nel senso che la componente femminile prevale. Qui, però, c'è una completa eguaglianza di poteri: Baccador e Bombadil agiscono sullo stesso piano e hanno le stesse capacità. Peraltro sarebbe sbagliato considerare le loro capacità limitate, nel senso che i loro poteri agiscono solo nell'area della Vecchia Foresta (come sembra far intender Bombadil) e che dunque Baccador e il suo sposo siano potenti soltanto ‘a casa lor', per così dire. Tolkien fa intendere che questa limitatezza è fattore di immensa saggezza, superiore a qualsiasi altra nella Terra di Mezzo: Bombadil e Baccador non si interessano delle cose del mondo perché lasciano che ogni cosa vada come deve andare, una specie di filosofia stoica, e per tale motivo gli eventi dell'esterno non hanno alcun significato e nessun impatto nella loro vita. L'Anello per Bombadil è un oggetto interessante in quanto muove gli eventi di tutto un mondo, ma in lui non provoca effetto alcuno perché proviene dall'esterno. A questo punto è giusto considerare Bombadil e Baccador non certo come Maiar, o Valar, o elfi o cose del genere, ma leggere le loro figure in una chiave reale. Tolkien crea questi due notevoli personaggi per dimostrarci che la vita semplice e il disinteresse ragionato (non ottuso come negli hobbit) per le cose del mondo ‘esterno' siano indice di vera saggezza. Baccador è un relitto di un tempo antico, di una semplicità non più rintracciabile nel mondo al tempo di Frodo, e come tale è simbolo e testimonianza di un mondo e di un modo diverso – e migliore.

Le hobbit

A qualcuno sembrerà strano che questa dissertazione sui personaggi femminili delle opere di Tolkien si chiuda con la trattazione di donne che con quelle precedentemente discusse non hanno proprio nulla da spartite. Abbiamo visto donne coraggiose, potenti, orgogliose, pure, celestiali. Qui abbiamo di fronte una simpatica carrellata di donne un po' più ‘imperfette' di quelle viste prima. Soffermiamoci sulla trattazione di due donne simbolo dell'idea femminile degli hobbit: Rosie Cotton e Lobelia Sackville-Baggins.

Sono queste le due principali hobbit che conosciamo. In realtà il numero di hobbit che Tolkien ci presenta all'interno della narrazione e nei corposi alberi genealogici delle Appendici è enorme, ma si tratta solo di nomi e niente più. Anche su queste due hobbit sappiamo ben poco. Entrambe compaiono, così come tutti gli altri hobbit, nelle primissime e nelle ultimissime pagine del Signore degli Anelli, ma possiedono caratteri del tutto differenti. Rosie (o Rosa) Cotton è l'amore tanto desiderato da Sam. E' una hobbit come tante, semplice e modesta, anche molto schietta nei rapporti con Sam: mentre quest'ultimo prende tempo e non sa decidersi a dichiararsi, Rosie gli fa capire che lei era già da tempo pronta a sposarlo. E infatti i due si sposano, un anno dopo la fine della Guerra dell'Anello. Il matrimonio tra Sam e Rosie non è certo un avvenimento superfluo nella storia del Signore degli Anelli: tutt'altro. Ricordiamo che Sam è cresciuto di statura, spiritualmente parlando, nel corso del lungo viaggio verso Mordor. Egli ha incontrato forze di potenza incredibile; ha preso su di sé, benché per un breve periodo, il fardello dell'Anello; ha avuto a che fare con persone di rango elevatissimo, tra tutti Galadriel, di cui ha ammirato l'abbacinante bellezza. Eppure, tornato a casa, Sam non si monta la testa e non aspira a persone eminenti, ma persiste nell'amore per Rosie, fino a sposarla e vivere con lei per tutta la sua lunghissima vita, nonostante avrà sempre a che fare con personalità come re Elessar (Aragorn) e gli ultimi elfi, fino a partire poi oltre il Mare per raggiungere un luogo che – tranne pochissimi – nessun umano ha mai avuto il privilegio di vedere. Sam rimane grande perché – vero eroe di tutta la storia – non ha mai ceduto alle mille tentazioni e alle mille corruzioni incontrate nel lungo viaggio e non ha mai smesso di pensare alla vita nella Contea, che per lui rimane sempre il posto migliore di tutti. Così assume poi un significato profondissimo, che non potrà mai essere compiutamente descritto, il passo finale del Signore degli Anelli , quando Sam torna dai Porti Grigi dove ha dato l'estremo saluto a Frodo e Gandalf e giunto a casa da Rosie e dalla figlia Eleanor sospira: «Sono tornato». Perché solo il mondo semplice di Rosie può essere da lui chiamato davvero “casa”.

Lobelia è la rivale ‘storica' della famiglia Baggins. La sua famiglia, i Sackville-Baggins, avevano messo le mani su Casa Baggins quando Bilbo scomparve nel viaggio narrato ne Lo Hobbit . Il suo improvviso ritorno mette fine all'occupazione abusiva della casa e all'asta dei beni in essa contenuti messa in atto da Lobelia. Così, nel Signore degli Anelli Lobelia è continuamente presa in giro per questo suo atavico contrasto con Bilbo e Frodo, ma non manca il colpo di scena quando Frodo – in partenza per il suo lungo viaggio – dona Casa Baggins proprio a Lobelia. Lobelia è in pratica la tipica donna ‘provinciale', che vive di grette rivalità e chiusa in un mondo molto ristretto. Scopo della sua vita è impossessarsi di Casa Baggins, e tutte le sue imprese sono volte esplicitamente o no a questo fine. Una donna, insomma, quanto mai avida e vendicativa. In realtà però alla fine del romanzo ci viene presentata una Lobelia ben diversa. Rinchiusa per molti mesi in una piccola e buia prigione durante l'occupazione della Contea da parte di Saruman, viene infine liberata proprio dal suo rivale Frodo. Nella brevissima storia di Lobelia si può individuare però con facilità la morale tolkieniana: la crescita morale che gli hobbit compiono nel momento in cui escono dal loro mondo ristretto fatto di pettegolezzi e bevute alla locanda per confrontarsi inevitabilmente col mondo esterno. Lobelia esce dalla prigione ben diversa da come vi è entrata. Non è più una donna che vive di mezzucci e aspirazioni ristrette, ma una donna trasformata che capisce il vero valore della vita. In queste due brevi vicende, quella di Rosie e quella di Lobelia, c'è un comune denominatore: la crescita spirituale. Rosie è il ‘banco di prova' della saggezza acquisita da Sam, come abbiamo visto, e Lobelia è l'esempio della nuova consapevolezza assunta da tutti gli hobbit dopo gli eventi della Guerra. Queste due donne così umane, molto diverse dalle grandi personalità che abbiamo incontrato prima, sono le più adatte a chiudere questa trattazione del mondo femminile tolkieniano perché stanno a significare che il valore della femminilità non si trova solo in un mondo ideale abitato dalle Galadriel o dalle Lúthien, ma nelle anime di tutte le donne, anche le più semplici e le più ‘reali'.


Nota

Quest'articolo è stato pubblicato sul sito Fabbricanti di Universi, ed è pubblicato qui su diretta richiesta dell'autore.

 

           
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