Dostoevskij, Tolkien & Eliot:
il deserto, l’eroe, il potere e la grazia di Federico Maria Giani |
In questo dialogo con l’amico Gandalf, Frodo presenta tutto se stesso: egli è l’eroe principale del romanzo di Tolkien, Il Signore degli Anelli, ma non è un eroe nel senso classico, o meglio ancora, romantico della parola. Non è l’eroe romantico, ovvero, non è un personaggio che, dotato di grande forza e coraggio, affronta titanicamente un’impresa che lo condurrà alla gloria e alla conquista di qualcosa di prezioso. Frodo, nella sua persona, demolisce punto per punto quest’immagine: non si afferma più l’eroe titanico, ma l’eroe umano. La sua prima caratteristica infatti è l’umiltà: umiltà di riconoscersi limitato, di ammettere di possedere poco tra forza, intelligenza e coraggio. Un comportamento diametralmente opposto a quello dei personaggi incontrati precedentemente, si dice infatti di Melkor:
L’egoismo di Melkor, provocato dalla sua superbia, introduce un altro aspetto dell’umiltà di Frodo. Egli non crede di poter determinare la sua vita, e non vuole tenere tutto per sé: la sua umiltà si manifesta proprio nel modo in cui accetta il proprio destino. Tant’è vero che, trovatosi fra le mani l’Anello di Sauron, oggetto di indescrivibile potere e malvagità, accetta di caricarsi del pesante fardello della sua distruzione: egli obbedisce alle circostanze anche se ciò che gli viene chiesto và al di là delle sue forze.
Ed è proprio nell’ultima affermazione, che esprime la lucida coscienza di essere piccoli di fronte al proprio destino, che si svela l’ultima faccia dell’umiltà di Frodo: la consapevolezza di aver bisogno d’aiuto. Non sarebbero comunque bastate né la forza fisica né quella d’animo di un solo individuo ad affrontare la prova che viene chiesta a Frodo: l’unica cosa in grado di sostenerlo nella Missione, che poi è la vita, è la Compagnia, compagnia di qualcuno che tiene al suo destino come al proprio, che lo ama.
Frodo lo riconosce: non avrebbe fatto molto senza Sam. Non perché questo possedesse forza o saggezza superiori alle sue, è altro ciò di cui Frodo ha bisogno, ed è proprio nel rapporto con l’amico che lo trova: amore al suo destino. Un amore, un’amicizia, che non ammette di essere lasciata indietro, anche quando questo sembrerebbe ragionevole:
Sembrerebbe assennato dal punto di vista di Frodo abbandonare i suoi amici per non caricarli di un fardello che è solo suo. Ma l’amicizia di Sam è autentica: egli non è amico solo nei momenti facili, intuisce che Frodo avrà tanto bisogno di lui quanto più avanti procederà nel suo cammino. Egli infatti lo sosterrà fisicamente e spiritualmente fino all’ultimo, arrivando a caricarlo sulle proprie spalle nell’ultimo faticoso tratto, e, appena la Missione è compiuta, Frodo dice:
Ancora una volta, umilmente, riconosce di aver avuto bisogno della compagnia di Sam, che non è l’unica del Il Signore degli Anelli, romanzo letteralmente costellato di compagnie. La compagnia, l’amicizia è importantissima perché “genera” l’eroe: lo risolleva dalla sua situazione, dalla sua debolezza, dal suo limite, è insegnamento, correzione. Frodo è “generato” da Gandalf nella Pietà, una delle caratteristiche degli eroi tolkieniani: rispetto ad ogni altro eroe incontrato prima, la loro posizione, a cominciare da quella verso l’altro, verso il nemico, è differente. Al racconto di come Bilbo non avesse ucciso Gollum (vii) al loro primo incontro Frodo, chiamando “peccato” l’esitazione dello zio ad uccidere, suggerisce che sarebbe stato meglio se avesse ammazzato quell’essere:
La Pietà gli è insegnata da Gandalf perché lui per primo è umile, pur essendo un Saggio, e dalla sua umiltà di fronte alla vita nasce la sua posizione:
Gandalf riconosce di non essere lui a dare la vita, e di conseguenza di non essere il più indicato a decidere a chi debba essere tolta. È una posizione che Frodo apprende e fa propria in primo luogo nei confronti dello stesso Gollum quando, più avanti nella trama, diverrà la sua guida. Frodo stesso genera poi Sam nella pietà vero Gollum. Frodo è perciò l’eroe umile, che riconosce i propri limiti e il bisogno di amare una compagnia che a sua volta lo sostiene, lo ama e lo genera nell’amore per gli altri, anche per chi apparentemente non lo meriterebbe. Anche Aljòša, fratello di Ivàn, ha una rapporto di compagnia che lo genera all’amore: è l’amicizia con lo starets Zosima, suo padre spirituale. Questi chiede un gesto di obbedienza al giovane monaco novizio che, piegandosi ad una necessità misteriosa ai suoi occhi, umilmente accetta:
Se Aljòša accetta è per l’amore che lo lega allo starets, amore che ha appreso dallo starets stesso.
Questo amore che Zosima insegna nasce, come per Gandalf, dalla coscienza prima di non essere padrone delle propria vita e del proprio destino. Per lo starets, un monaco, è chiaro chi sia il Padrone della vita, ed è a modello del Suo amore che egli ama gli altri:
Aljòša è proprio lo specchio di questo amore divino che abbraccia tutti nonostante i limiti umani, un amore che tutti gli altri personaggi del romanzo riconoscono in lui. Anche suo padre, figura maggiormente abietta di tutto il romanzo, deve ammetterlo:
Un rapporto d’amicizia, d’amore, che salvano davvero l’Uomo mettendolo in umile rapporto col proprio destino anziché in orgoglioso contrasto. Un altro esempio lampante è il rapporto fra Sònja e Raskòlnikov, raccontato nel celebre romanzo Delitto e Castigo. Raskòlnikov ha compiuto un assassinio, ha ucciso una vecchia usuraia per rubarle i soldi, e incontra inaspettatamente Sònja, una “peccatrice”, costretta dalla critica situazione finanziaria familiare alla prostituzione. Pur conducendo una vita squallida, immersa nelle brutture del mondo, Sonja conserva la speranza e una salda fede in Dio. Questa fede e il suo amore ella li testimonierà a Raskòlnikov credendo possibile una sua redenzione nonostante egli si sia macchiato di un delitto insensato. Spinto da lei a pentirsi della sua colpa, Raskòlnikov accetterà i lavori forzati in Siberia perché scopre la libertà dell’essere amato nonostante i propri limiti, oltre la sua colpa, vere catene che lo teneva prigioniero. Al commissariato Raskòlnikov esita, ma Sònja è accanto a lui, fino all’ultimo, come Sam per Frodo:
Scrive Tolkien, in un pensiero che è decisamente il sunto di tutto quanto si è detto sull’eroe:
Note (i): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello – pagg. 96-98 (ed. Rusconi) (ii): J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion - Ainulindalë – pagg. 15, 18 (ed. Bompiani) (iii): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello – pag. 341 (ed. Rusconi) (iv): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - Le due Torri – pag. 860 (ed. Rusconi) (v): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello – pagg. 496, 501-502 (ed. Rusconi) (vi): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re – pag. 1131 (ed. Rusconi) (vii): Bilbo, protagonista de Lo hobbit, è lo zio di Frodo, e proprio ne Lo hobbit incontra Gollum, precedente detentore dell’Anello di Sauron, creatura totalmente corrotta da esso. (viii): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello – pag. 94 (ed. Rusconi) (ix): J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello – pag. 94 (ed. Rusconi) (x): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 83 (i grandi libri ed. Garzanti) (xi): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 303 (i grandi libri ed. Garzanti) (xii): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 56 (i grandi libri ed. Garzanti) (xiii): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 26 (i grandi libri ed. Garzanti) (xiv): F.M. Dostoevskij, Delitto e castigo – pag. 622 (ed. Famiglia Cristiana) (xv): J.R.R. Tolkien, Albero e Foglia - Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm – pag. 225 (ed. Rusconi ) |
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