Dostoevskij, Tolkien & Eliot: il deserto, l’eroe, il potere e la grazia
di Federico Maria Giani

Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini all’ignoranza,
Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte.

Ma più vicino alla morte non più vicini a DIO.

Dov’è la Vita che abbiamo perduto vivendo?

Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?
I cicli del Cielo in venti secoli
Ci portano più lontani da DIO e più vicini alla Polvere. (i)

er poter dare una risposta bisogna prima capire la domanda. Per questo la prima parte della sacra rappresentazione The Rock di Eliot tratta della condizione dell’Uomo moderno.

L’abbondante conoscenza, eccessiva forse, lo ha portato più vicino alla morte che a Dio: è un’analisi dei nostri tempi che appare più tagliente quanto più Eliot elabora espressioni sintetiche, adatte ad esprimere il suo pensiero.

Cosa ha condotto l’Uomo che può viaggiare nello spazio, l’Uomo che può creare la vita artificialmente alla Polvere? Egli, così simile a Dio, ne è più lontano di quanto non lo fosse mai stato.

Ma sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto
prima: benché non sappiamo quando, o perché, o come, o dove.
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dèi, dicono,
ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima (ii)

Aver rinnegato Dio stesso, ecco l’errore dell’Uomo. Rinnegando Dio, infatti, egli limita l’orizzonte della sua vita dall’Infinitamente grande a se stesso condannandosi a vivere di ciò che è unicamente umano, Eliot elenca, la Ragione, il Denaro, il Potere, la Vita, la Razza o la Dialettica.

Una figura misteriosa, The Rock, chiamata anche The Watcher, The Stranger, The Witness, The Critic e The God-shaken (iii); appare e dichiara, quasi rivelando:

Il deserto non è così remoto nel tropico australe,
Il deserto non è solo voltato l’angolo,
Il deserto è pressato nella metropolitana
Presso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello.(iv)

Una sentenza che si impone con la forza della verità: dimentico di Dio e servo di se stesso, l’Uomo moderno si ritrova ad essere vuoto, e questa assenza, il deserto, è ovunque, addirittura nel cuore di suo fratello.

È profondamente drammatica, forse ancor più del deserto stesso, l’alienazione che l’Uomo vive nei confronti della sua propria situazione: deve giungere qualcuno, il misterioso The Rock, a svelargliene il vero volto.

Drammatica e attuale: il giudizio di Eliot valeva a metà del Novecento come vale oggigiorno, anzi, pare che col trascorrere degli anni il deserto cresca nel cuore dell’Uomo senza che lui se ne accorga.

Dostoevskij scriveva in termini simili, infatti qualcuno si è riconosciuto anche nelle sue parole:

Le cose di cui parla Dostoevskij nel 1871 sono le cose che io ho visto negli anni ‘70. È un profeta. Un profeta, non un indovino, perché descrive una dinamica umana nei rapporti con le cose […] che doveva nascere e raggiungere la sua pienezza solo molti anni dopo.(v)

Doninelli, scrittore milanese, riferendosi al testo de I demoni, ce lo assicura: prima che cominciasse il Novecento e scoppiasse la Rivoluzione bolscevica, Dostoevskij già prevedeva la realtà desertica in cui ci saremmo trovati a vivere noi.

Lo scrittore russo prendeva infatti atto che il socialismo, di cui lui stesso aveva fatto parte, stava degenerando nell’anarchia e nel nichilismo che a buon motivo considerava distruttive per l’Uomo.

In particolar modo ne I demoni e nel capolavoro I fratelli Karamàzov egli analizza queste ideologie rappresentandone gli esiti estremi e conseguenti l’uno all’altro: ateismo e indifferenza.

L’ateo per eccellenza è Ivàn Karamàzov, fratello del protagonista de I fratelli Karamàzov Aljòša, col quale ha una lunga discussione riguardo la fede. Durante questo dialogo Ivàn dichiara di non poter credere in Dio a causa del male nel mondo, che egli trova particolarmente insopportabile e incomprensibile nella sofferenza dei bambini:

…la suprema armonia. Essa non vale una lacrima anche sola di quella bambina martoriata che si batteva il petto […] versando le sue lacrime invendicate.(vi)

Non comprendendo il perché del dolore degli innocenti, non potendo cioè cogliere il senso del disegno divino, o meglio ancora intendendolo ma non accettandolo, Ivàn dichiara l’impossibilità di credere in Dio. Alla domanda del fratello

Come vivrai tu? come potrai tu amarmi? – esclamò Aljòša contristato. – È mai possibile, con un tale inferno nel cuore e nella testa? […] …ti ucciderai, ma non potrai resistere!(vii)

egli risponde

– Ancora una volta, da Karamàzov.

– Vale a dire che “tutto è lecito”? Tutto è lecito, è così? è così?(viii)

Se Dio non esiste, tutto è lecito, come ebbe a scrivere Sartre parlando proprio di Dostoevskij. Tutto è lecito perché tutto è impossibile: la posizione di Ivàn è orgogliosa, egli non può capire Dio perciò lo rifiuta. Questa scelta lo condanna a dover seguire non più Qualcuno di immensamente più grande di lui, ma se stesso, cioè un essere piccolo e limitato, ad essere definito perciò dai suoi limiti.

Se tutto è impossibile all’Uomo, bloccato dai suoi limiti e incapace di superarli, tutto è uguale, piatto: non c’è più la speranza di qualcosa che stia oltre il la nostro limite. Così l’ateismo diventa indifferenza, stanchezza di vivere: il deserto di Eliot.

Ne I demoni, nella figura di Nikolàj Vsévolodovič Stavrogin, ritroviamo questa prospettiva.

Nel presentarci quello che è uno dei protagonisti negativi più affascinanti di tutta la letteratura, personaggio terribilmente vuoto e capolavoro dello scrittore russo, Dostoevskij scrive:

M’impressionò pure il suo viso: i suoi capelli erano anche troppo neri, i suoi occhi luminosi anche troppo tranquilli e limpidi, il colorito del viso anche troppo delicato e bianco, l’incarnato anche troppo vivo e puro, i denti come perle, le labbra come coralli; sembrava un quadro, ma nello stesso tempo si sarebbe detto anche repulsivo. Dicevano che il suo viso ricordava una maschera…(ix)

L’essenza di Stavrogin infatti è la maschera che, pirandellicamente, non nasconde che altre maschere, e altre maschere ancora fino a scoprire che sotto l’ultima di queste non si trova niente, solo il deserto.

L’indifferenza generata dal vuoto interiore si svela nell’azione: Stavrogin, quasi come uno buco nero, attira a sé gli altri personaggi in forza del suo fascino, li seduce e li plasma, a seconda degli stati d’animo, divertendosi a “creare” nuove personalità:

…egli era riuscito contemporaneamente d’infiammare Šatov per un cristianesimo politico, legato al “suolo” russo, e di condurre Kirillov a quella lucida follia ateistica che culminava nel suicidio; mentre lui, Stavrogin, non riusciva a entusiasmarsi né per l’una né per l’altra tesi, così come non riusciva a compiangere quelle sue vittime.(x)

Dietro all’affascinate facciata si nasconde l’incapacità di provare sentimento alcuno, di appassionarsi ad alcunché, di fare distinzioni addirittura tra bene e male perché l’uno e l’altro suscitano esattamente la stessa apatia:

Anche ora, come sempre in passato, posso avere il desiderio di fare una buona azione e ne provo piacere; in pari tempo desidero anche il male e lo stesso ne provo piacere. Ma l’uno e l’altro sentimento, come in passato, è sempre troppo meschino, e non è mai molto. I miei desideri sono troppo poco forti; non mi possono dirigere. […] Tutto è sempre stato meschino e fiacco.(xi)

È stato scritto che Stavrogin si può considerare come il primo e il più eccezionale dei superuomini di fine Ottocento, irrimediabilmente diretto all’autodistruzione (xii): il suicidio, esito che Aljòša ipotizza per il fratello Ivàn ma compiutasi con Stavrogin.

Una vita che faccia affidamento unicamente sulle proprie capacità diviene un deserto senza prospettive di salvezza.

...nei campi di Gorgoroth non giungeva che una luce fioca e grigia. Fumi ed esalazioni si sprigionavano da terra e stagnavano a mezz’aria. […] Frodo e Sam osservavano quell’odiosa terra con un misto di antipatia e di ammirazione. Fra loro e la montagna fumante e tutt’intorno ad essa, ogni cosa pareva morta e distrutta, un deserto arso e sconvolto. […] Sino a perdita d’occhio, lungo le falde del Morgai e giù a sud, si stendevano gli accampamenti, alcuni di tende, altri ordinati come piccole città. Uno dei più grandi si trovava proprio sotto di loro. Copriva circa un miglio di pianura, simile a un enorme nido d’insetti, con tetre strade dritte fiancheggiate da capanne e da lunghi e bassi edifici. […] “Non mi piace affatto l’aspetto di tutto ciò”, disse Sam. “Mi sembra proprio che non vi sia speranza…” (xiii)

Tolkien era molto critico verso il progresso, lo si vede da come descrive la Terra di Mordor ne Il Signore degli Anelli, le cui città evocano fabbriche e periferie industriali. Ma la sua preoccupazione non è di tipo ambientalista, bensì umano: temeva che tutto ciò non fosse altro che l’esteriorizzazione di un deserto interiore.

E questo deserto spaventava lo scrittore inglese perché, se per lui Dio era il Bene, il Bello, la Verità, la Giustizia, negarLo non avrebbe portato ad un deserto dal volto indistinto: l’assenza di bene non è l’assenza di tutto, è la presenza del male.

Negando infatti una verità se ne afferma un’altra, in nessun caso se ne afferma nessuna: in Tolkien la negazione del bene è sempre connotazione del male.

La Terra di Mordor è tale, quindi, perché chi vi abitata ha rifiutato il bene e tutto ciò che da esso proviene: allo stesso modo di Ivàn, destinandosi a quello che Aljòša chiama “inferno”.

Il signore di quelle terre, Sauron, ha compiuto una scelta e, racconta Gandalf (xiv), neppure l’Oscuro Signore era malvagio sin da principio: lo è diventato quando, seguendo il suo padrone Melkor, ha rifiutato Dio.

Melkor, prendendo parte alla Creazione del mondo in luogo di strumento di Dio, si trovò a pensare che Questi non aveva tenuto conto di tutto ciò che era possibile fare, e cominciò a disprezzarNe l’operato bramando di essere lui stesso Creatore ma:

Melkor (xv) […] dallo splendore decadde, a causa dell’arroganza, al disprezzo per tutte le cose, salvo se stesso, spirito funesto e impietoso. […] Cominciò con il desiderio della Luce, ma quando non poté impadronirsene in esclusiva, calò, tra fuoco e ira, in una grande fiammata, nel profondo della Tenebra. E della tenebra si servì soprattutto nelle sue malvagie opere su Arda, riempiendo di paura tutte le creature viventi. […] Ma non era solo. Molti […] vennero attratti dal suo splendore nei giorni della sua grandezza, e gli rimasero fedeli anche nella tenebra […]. Tra quelli dei suoi servi che hanno nomi, il massimo era lo spirito che gli Eldar (xvi) chiamavano Sauron […] ed era meno perfido del suo padrone solo in quanto a lungo servì un altro anziché se stesso. Ma in tardi anni si levòsimile a ombra di Morgoth [cioè Melkor] e a un fantasma della sua malizia, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso sentiero che lo trasse giù nel Vuoto.(xvii)

Volendo prescindere da Dio nel fare qualcosa di buono, Melkor cade nel partito opposto, desideroso inizialmente di accrescere la gloria di Dio con la sua iniziativa, cade in seguito nella superbia e quindi nel male.

Disprezzando Dio egli odia il bene: i suoi tentativi di fare il bene fuori del Bene supremo portano soltanto al male, che lo conduce sino al Vuoto, la Polvere di Eliot, proprio lui che era così simile a Dio.

L’Uomo da solo non è capace di niente perché limitato da se stesso: Dostoevskij, Tolkien e Eliot ci dicono che senza Dio nulla è possibile, l’Uomo da solo non è in grado di salvarsi, di raggiungere il bene che desidera.

Si potrebbe allora ipotizzare che nel rapporto con Dio questo bene sia finalmente raggiungibile, la felicità realizzabile?

 

Note

(i): T.S. Eliot, Cori da “La Rocca” – pag.37 (“I libri dello spirito cristiano” – ed. Rizzoli)

(ii): T.S. Eliot, La Roccia - Un libro di parole –pag. 121(Biblioteca di via Senato ed. Milano)

(iii): La Roccia o La Rocca (a seconda delle traduzioni), Il Guardiano, Lo Straniero, Il Testimone, IlCritico e Colui ch’è scosso da Dio.

(iv): T.S. Eliot, Cori da “La Rocca” – pag.41 (“I libri dello spirito cristiano” – ed. Rizzoli)

(v): Luca Doninelli, incontro di presentazione de I demoni di F.M. Dostoevskij organizzato dal Centro Culturale Aldo Moro di Gallarate, tenutosi il 7 Marzo 2005 presso le Scuderie Marangoni di Gallarate.

(vi): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 261 (i grandi libri ed. Garzanti)

(vii): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 280 (i grandi libri ed. Garzanti)

(viii): F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 280 (i grandi libri ed. Garzanti)

(ix): F.M. Dostoevskij, I demoni – pag. 40 (Gli Struzzi ed. Einaudi)

(x): F.M. Dostoevskij, I demoni – Nota introduttiva, pag. XV (Gli Struzzi ed. Einaudi)

(xi): F.M. Dostoevskij, I demoni – pagg. 656-657 (Gli Struzzi ed. Einaudi)

(xii): Riferimento alla Nota introduttiva dell’edizione “Gli Struzzi - Einaudi” de I demoni.

(xiii): J.R.R.Tolkien, IlSignore degli Anelli - Il Ritorno del Re – pagg. 1102-1103 (ed. Rusconi)

(xiv): Gandalf, saggio stregone, è un altro personaggio de Il Signore degli Anelli.

(xv): Melkor è uno degli Ainur, o Valar, potenze angeliche create da Dio per aiutarlo nella Creazione.

(xvi): Gli Eldar sono gli Elfi dell’opera tolkieniana, creature nate prima degli Uomini e dedite all’Arte.

(xvii): J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion - Valaquenta – pagg. 30-31 (ed. Bompiani)

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