Dostoevskij, Tolkien & Eliot: il deserto, l’eroe, il potere e la grazia
di Federico Maria Giani

Eh, Miša, l’anima sua è impetuosa. Il suo spirito è prigioniero. C’è in lui un pensiero grande e insoluto. Egli è di quelli a cui non occorrono i milioni, ma occorre risolvere il proprio pensiero. (i)

 

ëdor Michailovič Dostoevskij nacque il 30 ottobre 1821, in uno dei quartieri più poveri e squallidi di Mosca.

Il padre, medico militare lituano impiegato come chirurgo presso un ospedale per indigenti, aveva avviato il futuro scrittore, assieme al fratello Michail, prima agli studi ingenieristici e in seguito alla carriera militare. Terminati gli studi ed ottenuto un modesto impiego, Dostoevskijdeviò dalla strada scelta per lui dal genitore, dedicandosi, sempre seguito dal fratello, alla scrittura, che meglio soddisfaceva le sue inclinazioni artistiche.

Il suo primo romanzo, Povera Gente (1844), fu approvato dalla rigida critica progressista e sinistroide contemporanea, che, fraintendendone il tema, lo salutò come il primo “romanzo sociale” russo. Al contrario il libro mirava a dare una visione dell’Uomo non più come essere sociale, ma come creatura fisicamente e spiritualmente tormentata.

Ma il fraintendimento non fu una prerogativa propria solo dei critici: anche le autorità, informate dell’abitudine di Dostoevskij di frequentare circoli socialisti ispirati alle idee di Fourier, pensarono di trovarsi d’innanzi ad un agitatore sociale, ad una sorta di rivoluzionario. Per questo motivo, nell’Aprile del 1849, lo scrittore fu arrestato e deportato in Siberia dove il tribunale militare lo condannò alla pena capitale. Condotto sul luogo d’esecuzione con gli altri prigionieri, Dostoevskij vide il plotone d’esecuzione già pronto per eseguire la fucilazione quando, inaspettatamente, giunse la comunicazione della grazia concessa dallo zar: la pena di morte veniva commutata in quattro anni di lavori forzati.

Questa prova scosse profondamente la salute e l’anima dello scrittore.

Scontato il periodo di lavori forzati, Dostoevskij fu arruolato come soldato semplice ed inviato vicino al confine con la Cina.

Un’esperienza forse più terribile della condanna a morte: scrisse al fratello Andrej di sentirsi sepolto vivo e chiuso in una tomba (ii). La sua resistenza fisica, psichica e morale fu messa nuovamente a dura prova: i disturbi nervosi che affliggevano la sua salute si intensificarono fino a causargli frequenti attacchi epilettici, la solitudine gli diede l’occasione di esaminare e giudicare la sua vita passata e di studiare attentamente la natura del popolo russo che concluse essere estremamente bestiale e contemporaneamente integro nella sua religiosità.

Fu durante questo periodo che Dostoevskij si accostò alla lettura del Vangelo, unica consolazione alle ostilità dei commilitoni e alle difficoltà di rapporto con la moglie, conosciuta e sposata in servizio.

Tornato in libertà, si recò subito a Pietroburgo dove, dal 1859, cominciò a collaborare con la rivista politico-letteraria Il tempo, fondata dal fratello Michajl. Oltre a scriverne l’articolo programmatico, Dostoevskij pubblicò sulla rivista molte sue opere a cominciare dalle Memorie di una casa di morti (1861), romanzo ispirato dalle esperienze siberiane cui aveva messo mano non appena tornato in libertà.

Prendendo spunto dalle sue esperienze personali come la passione per il gioco, i debiti, l’infelice rapporto con la moglie e l’amore tenebroso per un’altra donna; e guardando sempre alla vita pubblica russa, scrisse molti racconti incentrati sulle sofferenze materiali e spirituali dell’Uomo: Umiliati e Offesi (1861), Memorie del Sottosuolo (1864) e Il giocatore (1866).

La pubblicazione de Il giocatore fu occasione per un incontro che avrebbe portato un cambiamento positivo nella vita dello scrittore: Anna Grigorevna Snitkina, la giovane stenografa cui si era rivolto per la dettatura del libro, sarebbe divenuta, due anni a quella parte, sua moglie.

Anna fu per lui una presenza confortante negli anni che seguirono: la fuga all’estero a causa dei problemi coi creditori, la nascita dei figli e il lavoro da scrittore stressarono e preoccuparono oltremodo Dostoevskij, il quale, nonostante tutto, trovò sempre in lei una salda ancora di salvezza.

L’incontro con Anna aveva anche propiziato la carriera dello scrittore che, dopo Il giocatore, aveva pubblicato Delitto e Castigo (1866), opera che lo aveva reso famoso all’estero. Lo stesso anno del matrimonio cominciò a pubblicare a puntate L’idiota (1868) sulla rivista Il messaggero russo: era il primo degli ultimi capolavori, parte di un progetto concepito durante un viaggio a Firenze col nome di Ateismo o Vita di un grande peccatore. Questa immensa opera, pensata dallo scrittore come summa di tutto il suo pensiero, non fu mai realizzata, ma si trasformò, oltre che ne L’idiota, negli ultimi capolavori: I demoni (1871) e i Fratelli Karamazov (1880).

L’anno seguente la pubblicazione del suo ultimo romanzo Dostoevskij si ammalò di tisi. Il 9 febbraio, persuaso di dover morire quello stesso giorno, aprì un’ultima volta l’amato Vangelo fermandosi ad un passo di san Matteo:

Ma Giovanni lo trattenne e disse: io debbo essere battezzato da te non tu da me. Ma Gesù gli rispose: non trattenermi. (iii)

Chiuso il Vangelo si rivolse all’amata moglie dicendo serenamente: Senti, Anja, non trattenermi vuol dire che debbo morire. (iv)

Il 28 febbraio 1881 moriva Dostoevskij, con un’icona ortodossa della Madre di Dio in mano e una riproduzione della Madonna Sistina di Raffaello appesa sopra il capezzale.

 

Note

(i) F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamàzov – pag. 88 (i grandi libri ed. Garzanti)

(ii) F.M. Dostoevskij da una lettera al fratello Andrej – I grandi della cultura rivisitati n° 2 - Litterae Communionis - Aprile 1981, pag. IV

(iii) F.M. Dostoevskij – I grandi della cultura rivisitati n° 2 - Litterae Communionis - Aprile 1981, pag. I

(iv) F.M. Dostoevskij – I grandi della cultura rivisitati n° 2 - Litterae Communionis - Aprile 1981, pag. I

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